set stage Capogrossi & sunglasses del 23 maggio 2013 h 16:28: ogni allievo indossa il proprio prototipo.
foto Cecilia Polidori
LABORATORY DESIGN methods by use of creative platforms -
Interactive Systems for the Creation and Evolution of Web Platform Projects,
Prototyping, Communication Strategy, Crowdsourcing Design, Processing Platforms,
an experimental project on interoperability of research and teaching of Data-Design
conducted through innovative scenarios and forms of organization of the processes
of interactive and collective learning.
PROJECTS, EXPERIMENTS AND PROTOTYPES WITH DIFFERENT MATERIALS.
deepsdesignbycp@gmail.com
piattaforma 1
DESIGN 2013/14 n 1 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-1.blogspot.it/

2
DESIGN 2013/14 n 2 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-2.blogspot.it/

3
DESIGN 2013/14 n 3 prof POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested
http://design-cecilia-polidori-2014-3.blogspot.it/

English version

scheda d'insegnamento/programma e 14 nuovi post in bibliografia

DIPARTIMENTO
PAU- Patrimonio, Architettura e Urbanistica
ANNO ACCADEMICO
2013/2014
CORSO DI LAUREA
Scienze dell'Architettura-L17
INSEGNAMENTO
DESIGN
CFU
8
TIPO DI ATTIVITÀ
Affine
AMBITO DISCIPLINARE
Disegno industriale
CODICE INSEGNAMENTO
16604
ARTICOLAZIONE IN MODULI
no
ANNO DI CORSO
terzo
PERIODO DELLE LEZIONI
annuale
SETTORI SCIENTIFICO- DISCIPLINARI
ICAR 13
DOCENTE
Cecilia POLIDORI – Professore Ordinario - Università "Mediterranea" di Reggio Calabria
NUMERO DI ORE RISERVATE ALLO STUDIO PERSONALE
120
NUMERO DI ORE RISERVATE ALLE ATTIVITÀ DIDATTICHE ASSISTITE
80
PROPEDEUTICITÀ
nessuna
SEDE DI SVOLGIMENTO DELLE LEZIONI
Corpo A –ex Facoltà di Architettura
ORGANIZZAZIONE DELLA DIDATTICA
Lezioni e coordinamento online attraverso apposite piattaforme web didattiche attivate annualmente – produzione sperimentale di prototipi.
MODALITÀ DI FREQUENZA
Obbligatoria, verranno verificate le presenze. Gli studenti lavoratori sono tenuti a contattare la Docenza, entro la terza settimana dall’avvio del Corso.
METODI DI VALUTAZIONE
Valutazioni progressive ed aggiornate online settimanalmente, infine l’esame individuale.
TIPO DI VALUTAZIONE
In “post” durante il corso – in 30esimi all’esame
CALENDARIO DELLE ATTIVITÀ DIDATTICHE
http://www.pau.unirc.it/calendario_accademico.php
ORARIO DI RICEVIMENTO DEGLI STUDENTI - Università degli Studi Mediterranea - Didattica - Scheda materia - http://www.unirc.it/architettura/scheda_materia_ateneo.php?insegnamento=16604
RISULTATI DI APPRENDIMENTO ATTESI
Conoscenza e capacità di comprensione
Tematiche generali – linguaggio del design.
Capacità di applicare conoscenza e comprensione
Attraverso lo studio dei Maestri elaborare e realizzare prototipi.
Autonomia di giudizio
Il giudizio sul proprio operato è parte inscindibile del progettare.
Abilità comunicative
Sia virtuali, con la comunicazione e spiegazione sulle piattaforme web, sia orale nella sede canonica. 
Capacità d’apprendimento Verifica in steps successivi e graduali la padronanza dei linguaggi progettuali richiesti.
OBIETTIVI FORMATIVI DEL CORSO 
1. contenuti
DESCRIZIONE DEI CONTENUTI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI di cui all'art. 2 del D.P.R. n 366 del 30.09.2010 Area / Settore Scientifico disciplinare: AREA 08 - Ingegneria Civile e Architettura 08/C 1 – DESIGN E PROGETTAZIONE TECNOLOGICA DELL’ARCHITETTURA ICAR 13 - Disegno Industriale Descrizione dei contenuti scientifico- disciplinari del settore. I contenuti scientifico-disciplinari riguardano teorie e metodi, tecniche e strumenti del progetto del prodotto industriale - materiale o virtuale - nei suoi caratteri produttivi, tecnologico-costruttivi, funzionali, formali e d'uso e nelle relazioni che esso instaura con il contesto spaziale ed ambientale e con quello dell'industria e del mercato. La natura di tale prodotto (dai beni d'uso e strumentali ai beni di consumo e durevoli, agli artefatti comunicativi, relazionali, interattivi, alle strutture relazionali e di servizio) e la sua complessità (dai materiali e semilavorati ai beni intermedi, ai componenti, ai prodotti finali, fino ai sistemi integrati di prodotto, comunicazione, servizio) declinano altrettanti metodi e tecniche della progettazione come prassi interdisciplinare, che, interagendo con i diversi settori merceologici e produttivi, determinano ambiti di ricerca specifici in continua evoluzione.
2. il corso: modalità e prerogative
LABORATORIO DESIGN - Design and Evolution of Experimental Protototypes Suggested, Progetti sperimentali, Prototipizzazione, Comunicazione. Experimental Experience and Evolution of Platforms Subjects -Project Prototypes/Serial Product & web-communication strategy - crowdsourcing Design.
IL TEMPO È UNA PREROGATIVA ED UNA RISORSA. Il corso di DESIGN è di 8CFU. Nelle pagine specifiche del sito d'ateneo 
Università degli Studi Mediterranea - Amministrazione - Scheda personale - http://www.unirc.it/architettura/scheda_persona.php?id=126 
oppure di Dipartimento:
Dipartimento di Patrimonio, Architettura e Urbanistica - Organizzazione - Scheda materia  - http://www.pau.unirc.it/scheda_materia_ateneo.php?insegnamento=16604
sono sempre riportati in versione pdf tutti i riferimenti, dati, elementi fondamentali o fasi salienti di ogni step di lavoro. 
Il corso di DESIGN (ICAR 13) ha una frequenza settimanale svolta nell'intero anno accademico 2012-2013. Il corso è progettuale e sperimentale (vedi: DESCRIZIONE DEI CONTENUTI SCIENTIFICO- DISCIPLINARI del settore ICAR 13 di cui all'art. 2 del D.P.R. n 366 del 30.09.2010). Il programma è costantemente aggiornato e pubblicato sulla prima delle piattaforma-pilota didattiche web attivate sperimentalmente ed appositamente prima dell’inizio del corso (vedi ad esempio il banner 2012-2013 
BIBBLIOGRAFIA ESSENZIALE: 
DEEPS DESIGN by Cecilia Polidori: bibliografia essenziale -
http://deeps-design.blogspot.it/p/bibliografia-essenziale.html 
cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: bigliografia essenziale - http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.it/p/bigliografia.html
e, a tal proposito, è bene ribadire che per bibliografia essenziale s’intende, oltre la lettura integrale dei tre saggi e la discussione in aula e all’esame, la conoscenza, acquisizione e padronanza dei temi e degli autori trattati durante l'anno e presenti nei banner specifici dei web siti didattici e link riportati: quindi, va sottolineato che tutto ciò che è pubblicato, anche da parte degli allievi stessi è materia del corso e d'esame, poiché segue la traccia di discussione, elaborazione etc svolta nelle Lezioni dell'anno). 
Oltre il numero di presenze minime per gli allievi regolarmente iscritti e maturate nelle Lezioni accademiche (dopo ogni Lezione la progressione dell’elenco è pubblicato ed aggiornato sul sito web didattico, pilota 2, nel banner specifico "presenze del giorno..." e riportato anche - in versione pdf - sulla pagina specifica d’ateneo. Saranno così aggiornati i nominativi degli iscritti e le loro presenze ed ognuno potrà controllare il proprio avanzamento), si richiede una partecipazione attiva al Laboratorio, con esercitazioni, ricerche, realizzazioni di manufatti e prototipi. Le
caratteristiche di questi sono presentate durante lo svolgimento delle Lezioni e condotte attraverso l'ausilio dei PIATTAFORME PILOTA WEB DIDATTICHE. Sulle piattaforme vengono man mano caricate e pubblicate le singole esperienze progettuali di ogni allievo, ed a loro cura (tramite invito come Autori) commentate e valutate, vedi:  


cfr. esempi di lavoro su alcune tra le 6 piattaforme attivate annualmente nei corsi precedenti
2012-13:
Università degli Studi Mediterranea - Laboratori http://www.unirc.it/ricerca/laboratori.php?lab=60
DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - http://deepsdesignbycpolidori.blogspot.it
DEEPS DESIGN by Cecilia Polidori - http://deeps-design.blogspot.it
DEEPS DESIGN 1 by Cecilia Polidori http://deepsdesign1.blogspot.it
DEEPS DESIGN 2 by Cecilia Polidori - http://deepsdesign2byceciliapolidori.blogspot.it
DEEPS DESIGN 3 by Cecilia Polidori - http://deepsdesign3byceciliapolidori.blogspot.it

DEEPS DESIGN 4 by Cecilia Polidori - http://deepsdesign4byceciliapolidori.blogspot.it

DEEPS DESIGN 5 by Cecilia Polidori - http://deepsdesign5byceciliapolidori.blogspot.it

DEEPS DESIGN 6 by Cecilia Polidori - http://deepsdesign6byceciliapolidori.blogspot.it
2011- 12:
cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS - http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.com

CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN - http://ceciliapolidoritwicedesign.blogspot.com

CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 2 -http://ceciliapolidoritwicedesign2.blogspot.com

CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3 - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.com
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 4 - http://ceciliapolidoritwicedesign4.blogspot.com
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 5  - http://ceciliapolidoritwicedesign5.blogspot.it; 
2010-11: 
CECILIA POLIDORI DESIGN Lezioni 2010- 2011 http://ceciliapolidoridesign-lezioni.blogspot.it;
CECILIA POLIDORI DESIGN allievi 3: si torna al tridimensionale
CECILIA POLIDORI DESIGN ALLIEVI 5: piattaforma di dialogo web - http://ceciliapolidoridesignallievi5.blogspot.it;
ossia siti specifici, reali ed effettive piattaforme didattiche-pilota e guida per sperimentazioni con controllo e pubblicazioni web, e che rinnovano le spiegazioni fornite dal vivo, le indicazioni, procedure, esempi ed esiti via via svolti ed ottenuti dagli allievi. 
cfr. inoltre su temi e Lezioni della disciplina e del corso: 
cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS -http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.com; CECILIA POLIDORI DESIGN Lezioni - http://www.ceciliapolidoridesign-lezioni.blogspot.it; 
Inoltre cfr. su: 
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DEEPS DESIGN by Cecilia Polidori: bibliografia essenziale - http://deeps-design.blogspot.it/p/bibliografia-essenziale.html; 
e: 
COME FARE UNA BIBLIOGRAFIA - DEEPS DESIGN by Cecilia Polidori: come fare una bibliografia - http://deeps-design.blogspot.it/p/come-fare-una-bibliografia.html; 
Gli allievi apprenderanno tecniche ed acquisiranno padronanza, fornendo a loro volta informazioni in un tangibile e comprovatocrowdsourcing - attivazione di piattaforme sperimentali web: crowdsourcing design - modalità progettuali per utilizzo di piattaforme creative INTERACTIVE SYSTEM TO EVOLUTION OF CREATIVE PLATFORMS - progetto sperimentale di interoperabilità didattica di Data-Design condotta attraverso innnovativi scenari e forme di organizzazione dei processi di apprendimento interattivo e collettivo, permette la diffusione e lo scambio di dati elaborati nel Laboratorio DEEPS – Design attraverso siti-web pilota di guida e dialogo e sono quindi strumento dinamico ed indispensabile di crescita. E' inoltre a disposizione per qualunque quesito degli allievi uno specifico indirizzo di posta elettronica: deepsdesignbycp@gmail.com. E' quindi assicurata un'attenta, immediata ed individuale attenzione al lavoro di ogni singolo allievo per l'intero periodo del corso. IL TEMPO È UNA PREROGATIVA ED UNA RISORSA: con l'ultima Lezione della fine di Maggio 2014 il corso e le sperimentazioni del Laboratorio di Design si concludono e sarà pubblicata, dopo alcuni giorni, una GRADUATORIA finale, che riporterà tutte le valutazioni ottenute da ogni allievo e già presenti progressivamente sui siti didattici. 
Cfr.: ad esempio quelle pubblicate
per l’a.a.2012-2013
per il 2011-2012
con elencati tutti i link di ogni individuale esperienza: 
vedi STATUS AUTORI di ciascun allievo, il suo curriculum e percorso ed esperienza progettuale, e tutte le valutazione delle tematiche trattate e pubblicate sui siti pilota:
per il 2011-2012
e
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3: status degli Autori 1 - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.it/p/status-degli-autori-n-1.html 
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3: status degli Autori 2  - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.it/p/autori.html
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3: Status degli Autori 3 - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.it/p/status-degli-autori-n-2.html
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3: Status degli Autori 4 - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.it/p/status-degli-autori-n-3.html
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3: status degli Autori 5 - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.it/p/status-degli-autori-n-5.html
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 3: Status degli Autori 6 - http://ceciliapolidoritwicedesign3.blogspot.it/p/status-degli-autori-6.html

ARTICOLAZIONE DEL CORSO
TOTALE 80 Ore
ARGOMENTI, TEMI e DINAMICHE DELLE LEZIONI
ORE Si prevedono 6 ore circa settimanali
PROGETTI, SPERIMENTAZIONI E PROTOTIPI CON DIFFERENTI MATERIALI. Laboratorio Design, Progetti sperimentali, Prototipizzazione, Comunicazione Crowdsourcing design - modalità progettuali con utilizzo di piattaforme creative INTERACTIVE SYSTEM TO EVOLUTION OF CREATIVE PLATFORMS
DIALOGO E REPORT ONLINE DI CONTROLLO DELLE FASI DI
ELABORAZIONE DEI PROTOTIPI. 
CECILIA POLIDORI DESIGN TEMI SPERIMENTALI - 
http://ceciliapolidoridesign- temi.blogspot.it: 
        ·      CECILIA POLIDORI DESIGN TEMI SPERIMENTALI - http://ceciliapolidoridesign-temi.blogspot.it;
       ·      CARTA & FIBRE VEGETALI-1 -
·      CARTA & CARTONE-2 -
Il progetto sperimentale di interoperabilità di ricerca e didattica di Data-Design è condotto attraverso innovativi scenari e forme di organizzazione dei processi di apprendimento interattivo e collettivo e permette la diffusione e lo scambio di dati elaborati nel corso-Laboratorio attraverso siti-web pilota di guida, report e memoria, e sono quindi strumento dinamico ed indispensabile di gestione del sapere. Il Laboratorio didattico fornisce spazi e strumenti per l’elaborazione, variazione e controllo di manufatti sperimentali con possibilità di elaborare prototipi e componenti seriali e o strutturali inseribili nella realtà produttiva costruttiva. I materiali come la carta, la ceramica, la plastica, il legno, offrono un ampio spettro di variazioni e possibilità di sperimentazione progettuale e di studio e, inoltre, quali fonti sostenibili di materia di recupero, presuppongono possibilità di riutilizzo e riciclo. Inoltre l’attivazione di piattaforme sperimentali web consentono un dialogo online di controllo delle fasi di elaborazione dei prototipi.
Vedi: BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
DEEPS DESIGN by Cecilia Polidori: bibliografia essenziale - http://deeps-design.blogspot.it/p/bibliografia essenziale.html.
cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: bigliografia essenziale - http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.it/p/bigliografia.html
TERMINOLOGIA ESSENZIALE: Design, prototipo, prototyping, prototipizzazione, comunicazione, piattaforma web, creative platforms, data-design, crowdsourcing design, evoluzione e sperimentazione, prodotto seriale.

22 Luglio 2013
___________________________________________nuovi 14 post in bibliografia. 
Inoltre la bibliografia di approfondimento (non obbligatoria) è sul link: DEEPS Design 2, 2°: bibliografia di approfondimento




mercoledì 5 marzo 2014


* Il Design di George Nelson

"Primo: ciò che fai è importante. Secondo: il design è parte integrante dell'azienda. 
Terzo: il prodotto deve essere onesto. Quarto: tu stesso devi decidere cosa vuoi fare. 
Quinto: per il buon design c'è sempre mercato."
Così George Nelson riassumeva la filosofia della Herman Miller inc., l'importante azienda di design della quale è stato direttore artistico per venti anni…
Dal web: http://www.arredaclick.com/it/divano-marshmallow-sofa-nelson.ht

Il design di Nelson continua ad essere sul mercato: facendo alcune ricerche sulle caratteristiche degli oggetti da lui progettati, ho incontrato in un oggetto che mi sembrava familiare e che scopro di avere (da anni) appeso nella mia stanza: un modello Ball-Clock, progettato per la prima volta su richiesta di Howard Miller nel 1947.
Quindi non solo riesce a progettare una forma, come quella del divano Marshmellow, che porta il fruitore ad immaginarsi davvero seduto su tante caramelle colorate, ma traspone quest’idea ad altri oggetti come gli orologi da parete.





Chi è George Nelson? Definire Nelson semplicemente come un personaggio poliedrico non gli renderebbe giustizia.
Come accennavo ha progettato mobili dai nomi "gustosi" che rimarranno per sempre nell'immaginario e nella storia del design, come la Coconut Chair (1956), il Marshmallow Sofa(1956) e le Bubble Lamps (a partire dal 1952), ha diretto l'area design di un'azienda importante come la Herman Miller, ha progettato abitazioni private, è stato fotografo, ha insegnato e scritto libri («Tomorrows House», 1944). Questo rappresenta una piccola frazione della sua vasta produzione.
Nelson rispondeva al solo comandamento: sperimentare, affrontando la sperimentazione con al fine di creare “cose belle e pratiche”, in un’idea del design “senza tempo” .
“Il design è una risposta al cambiamento sociale” . 
Così Nelson apertamente dichiara quali, secondo lui, sono le finalità e il processo del design, pensa che un designer debba affrontare creativamente  i bisogni umani, e per farlo deve prima rompere radicalmente e consapevolmente con tutti i valori “anti-umani”.
I progettisti devono essere sempre coscienti delle conseguenze delle loro azioni sulle persone e sulla società.  Dichiara che "total design è né più né meno che un processo di relazione tutto per tutto".
Piuttosto che specializzato, per Nelson, il progettista deve coltivare una vasta base di conoscenza e comprensione.
Nelson ha fatto come pochi sono in grado, e, con l'aiuto di “zapping” al momento giusto, ha contribuito a definire un design moderno, umano. (cfr. http://www.georgenelsonfoundation.org/).
E questa umanità del design è tangibile in molti oggetti che apparentemente sono semplici, ma, essendo a “misura d’uomo”, hanno una grande influenza nel design. 
Basti pensare che Nelson è il padre della prima scrivania a forma di L, che rivoluziona l'arredamento degli uffici, ancora quando la vita della gente comune non vi ruota attorno completamente. Eppure lui capisce che, presto o tardi, quel luogo diventerà il centro dell'esistenza di molti. 
E allora lo rivoluziona: lo rende più funzionale e dà vita addirittura a un proprio sistema di progettazione, il «Nelson Workspaces». 
Simili a mobili per la casa, questo sistema si basava su una serie di elementi modulari che potevano essere liberamente combinati in modo da sopperire a tutte le esigenze spaziali. E, ancora una volta, pensa in grande: perchè non progettare un'abitazione che, come i mobili, possa essere componibile? Anzichè comporre cassetti e mensole perchè non possono essere assemblate le stanze e i relativi spazi serventi? Nascono così le Experimental Houses.  
“Quasi per assonanza verbale gli anni Cinquanta sono quelli della « Experimental House», la prima casa a
misura di fruitore: componibile a proprio piacimento e salva spazio, perché formata da cubi rivestiti con faccette di plexiglas. L'efficienza nella gestione degli spazi è per Nelson una priorità fin dagli anni Quaranta quando l'architetto, anticipando il boom dei consumi, progetta pareti che si rivelano, in realtà, armadi a muro, preziosissimi siti di stoccaggio abiti la cui funzionalità è stata comprovata ( e approvata) nei decenni a seguire”.
Dal web:http://www.luxury24.ilsole24ore.com/ArchitetturaDesign/2008/10/george-nelson-vitra_1.php

Nelson aveva pensato a tutto: persino alla sistemazione di martinetti sotto i cubi per livellare il terreno. Purtroppo però l’Experimental House rimase solo una sperimentazione.
Tuttavia è ammirevole che Nelson riesca a coinvolgere nella sfera del design non solo i singoli oggetti o mobili, ma un’intera abitazione.
Penso che Nelson riesca a rendere più chiaro il significato di design e quindi di progetto come processo progressivo, una progressione che diventa una vera e propria missione:  “ il design è un processo: si parte da un bisogno, un problema, e si finisce con il progetto di una cosa” (George Nelson).
Le persone che confondono il design con lo stile, non hanno alcuna facoltà visiva critica, non capiscono che il "look" immediatamente evidente di qualcosa non è stato affatto il frutto di progetto. Il design è, al contrario, una logica interna, necessaria e ineliminabile inerente al fabbricato, mondo sintetico. Design, per Nelson, è l’occhio della mente visibile, tangibile, comprensibile nel linguaggio dei materiali del mondo fisico.
“George Nelson, muore a New York City nel 1986... Credeva che fare il designer sarebbe servito a migliorare il mondo, già perfetto e armonioso, rovinato dalla mano dell’uomo”.
Dal web: http://www.arredativo.it/2011/monografie/george-nelson-2-parte

13 DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Enzo Mari … sul design - Pubblicato da 


domenica 16 febbraio 2014



Enzo Mari … sul design

Vincenza ha fatto un lavorone! ha creato sul serio un post: impaginando alcune frasi prese da un video e creando una pagina in un bianco e nero ammiccante, piacevole, irresistibile.
metto questo post nella Bibliografia essenziale, ho dovuto sacrificare l'immagine migliore che però diceva "ENZO MARI - Pensieri sul design", ergo come se l'avesse fatto lui, scritto e pubblicato, invece no! l'ha creato/ideato completamente Vincenza, quindi se trovo il tempo la butto a mia volta su Photoshop e ricavo io la copertina dando a Cesare quel che è di Cesare.
15 post.
cp.
 … ancora oggi il mio problema è capire che cos'è il design, io non so cos'è il design …
 Video : ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”. Ultrafradola Channels TV -ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”

… Sono sempre convinto che industria e design non possono non tener conto della parola égalité …
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 65, riga 17 - 18. 

 … Io mi pongo <<il problema di concepire il design per una società che non sia opulenta, di instaurare una metologia progettuale che non sia necessariamente il superamento continuo di parametri economici dati>>.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 88, dalla riga 20 alla riga 23. 
  
 … credo che il design abbia significato se comunica conoscenza.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 88, riga 34 - 35.

… il design non vuol dire qualsiasi cosa l’uomo produce … allora come si dice a scuola è la qualità massima ottenibile da una cosa …
  Video : ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”. Ultrafradola Channels TV -ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”

 … tutto ciò che ci circonda, che sia naturale o artificiale, è forma. 
La forma corrisponde al significato di un oggetto, alla ragione per cui esso viene costruito, e, se è ben fatta, rappresenta la sua più alta qualità. 
Il problema della forma è ricercarne l'essenza.
Video lezione: Intervista ad ENZO MARI: Progettazione e Design.  OILPROJECT beta -ENZO MARI: PROGETTAZIONE E DESIGN

… l’industria è un mostro …
  Video : ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”.  Ultrafradola Channels TV -ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”

… Non sto affermando che l’avvento dell’industria sia stato solo una calamità: al contrario, credo che metà della sua produzione sia positiva, tanto che oggi anche una persona molto povera può comperarsi un’aspirina. 
Ma l’altra metà è infernale, soprattutto per la <<decerebrazione>> che induce in chiunque lavori alla catena, dai semplici operai ai pubblicitari, ai top manager, e così via …
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 67, dalla riga 10 alla  riga 16. 

… La verità è che oggi il progetto è fatto direttamente dall'imprenditore, le cui scelte strategiche riguardano non solo il luogo e la tecnologia di produzione, ma anche gli aspetti formali. Il meccanismo della globalizzazione ha banalizzato a tal punto le ragioni dell’onestà di una forma che per idearla non occorre più nessuna competenza tecnico – espressiva ...
Quando alcune imprese …
… mi invitano a creare oggetti della stessa qualità di quelli storici, in realtà poi non mi concedono la libertà di raggiungere quei risultati. La richiesta ricorrente è che lavori al più basso quoziente d’intelligenza progettuale.
 ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 125, dalla riga 1 alla  riga 13. 

… avevo sempre contestato l’Accademia del design – la Scuola di Ulm – ben prima che diventasse una moda, e che, a giudicare dalle cose stava facendo il suo gruppo, mi sembravano intenzionati a diventare, a loro volta, un’accademia; con la quale non potevo essere d’accordo, perché interpretava il concetto di <<standard>> solo come una costrizione, dettata dalle ragioni industriali, negandone i contenuti etici.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 77, dalla riga 28 alla riga 35.
… la malattia degenerativa del design odierno l’utilizzazione esasperata di alcuni segni, estratti dal catalogo infinito dell’esistente, al solo fine di raggiungere un certo look.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 56, dalla riga 32 alla riga 35. 





Fonti Iconografiche
immagini rielaborate con Photoshop di Vincenza Triolo. 

12DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Semplicità -  

sabato 1 febbraio 2014


Semplicità

speciale, stupendo, Alessia elargisce. grazie!
utilizzerò in futuro questo post come manifesto. ovviamente va in bibliografia fondamentale... e speriamo di saperlo e poterlo applicare.
cp
Michelangelo coniuga il concetto della creatività e della semplicità con la metafora dello scultore, Bellezza significa "togliere per poi aggiungere". Questo mix di semplicità e creatività lo ritroviamo anche nella sua lista della spesa, tanto semplice quanto d'effetto.

"La semplicità è la forma della vera grandezza."
Francesco De Sanctis

"Il genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice."
Charles Bukowski
dal web:  http://www.daimon.org/lib/aforismi/frasi_massime_aforismi_citazioni_semplicit%C3%A0.htm

"La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità. "
Charles BukowskiHollywood, Hollywood!, 1989

"L'ovvio è quello che non si vede mai finché qualcuno non lo esprime con la massima semplicità."
Kahlil GibranSabbia e spuma, 1926

"La perfetta semplicità è inconsapevolmente audace."
George Meredith, La prova di Richard Feverel, 1859

""Pensare semplice" come era solito dire il mio vecchio maestro - significa ridurre l'intero delle sue parti ai minimi termini, tornando indietro ai primi principi."Frank Lloyd Wright
dal web: http://www.frasicelebri.it/argomento/semplicit%C3%A0/?page=2#start-content

La Semplicità - Alda Merini 

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia,
in forza appunto.

Io amo la semplicità che si accompagna con l'umiltà.
Mi piacciono i barboni.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l'anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c'è verità, lì c'è dolcezza, lì c'è sensibilità, lì c'è ancora amore.

dal web: http://www.aldamerini.it/component/option,com_kunena/Itemid,96/catid,2/func,view/id,21885/

"semplicità (ant. simplicità) s. f. [dal lat. simplicĭtas -atis, der. di simplex«semplice1»].

1. Qualità di ciò che è semplice: s. di un corpo, di un elemento; se la maggiore e minore velocità possono alterar la semplicità del moto, nessun corpo semplice si muoverà mai di moto semplice (Galilei). [...]

3. Principio di s., principio in base al quale si asserisce che fra due possibilità (per es. due ipotesi per una teoria scientifica), a parità di altre condizioni va assegnata maggiore plausibilità a quella che si può formulare nel modo più semplice; il principio consente, almeno in certi casi, di ordinare diversi enunciati in base alla loro probabilità (si noti che la semplicità della formulazione può dipendere anche dal linguaggio usato)."
dal web : http://www.treccani.it/vocabolario/semplicita/

Sinonimi della parola "semplicità"
"1. naturalità, genuinità, purezza
2. estens. facilità, elementarità, linearità, agevolezza, chiarezza, comprensibilità, accessibilità, evidenza, ovvietà, banalità
3. fig. (di vita, abito, arredo) povertà, essenzialità, sobrietà, misura, regolatezza
4. fig. (di stile) concisione, essenzialità
5. fig. inesperienza, ingenuità, sciocchezza, stoltezza, credulità, sprovvedutezza, dabbenaggine, candore"
dal web: http://dizionari.corriere.it/dizionario_sinonimi_contrari/S/semplicita.shtml


"La parola “semplice” ha in sé almeno quattro significati diversi. Sintetizziamo i vari esempi in punti nodali:
  1. “Semplice” è “facile”.
  2. “Semplice” è “immediatamente comprensibile”.
  3. “Semplice” è “schematico”, “povero di qualità”.
  4. “Semplice” è contrario di “complesso”, cioè “ha poche condizioni per esistere o esser pensabile”.
[...] Facciamo il punto della situazione:
  1. “Semplice” è una proprietà di un oggetto.
  2. “Semplice” non indica nessun oggetto, dunque non è un nome.
  3. “Semplice” è contrario di “complesso” in una logica binaria.
  4. “Semplice” è una proprietà relativa di un insieme di elementi continuo, definito tra due categorie “Semplice” e “Complesso”, in una logica fuzzy.
[...]diciamo che: “Semplice è una proprietà che ha un significato chiaro a partire dal contesto di uso. In tutti i casi, si riferisce ad una maggiore o minore complessità rispetto ad un dato insieme di elementi.” Se applichiamo questa idea a contesti più rigidi che non il linguaggio comune, che non esiste se non nella testa di chi parla, possiamo dire: “semplice è l’entità più elementare di una teoria”. Cioè “semplice è ciò che non consente ulteriori suddivisioni all’interno di un sistema assiomatico qualunque, sia esso una teoria logica o scientifica.”[...]
La definizione di questa parola richiede, come abbiamo mostrato, una collocazione chiara di essa nel contesto d’uso, altrimenti, ha un significato relativo, come quando diciamo che “giocare a pallone è più semplice di giocare a scacchi”, non chiarendo assolutamente nulla della proprietà “semplice” ma dando al lettore l’intuizione che ci sia qualche significato, in realtà, non altro d’una pura vaghezza. E’ “semplice” in una partita di pallone, il pallone, il giocatore di calcio, le linee segnaletiche. E’ “semplice” in una partita a scacchi la singola casella. Ma non si può dire che esista una qualche proprietà assoluta detta “semplice” tanto è che la parola in questione è del tutto priva di significato in contesti non chiari.
A questo punto possiamo giungere ad un’applicazione di tale parola in un contesto più scientifico-filosofico. “Semplice è l’elemento non ulteriormente scomponibile di una teoria” ad esempio, “In geometria, semplice è il punto”. In questo caso, la parola “semplice” si applica al singolo contenuto della scienza in questione. Questa definizione non è relativa alla costruzione formale, ma al suo contenuto, cioè quell’informazione minimale richiesta dalla materia per riuscire a formulare delle asserzioni sensate. Nessuna scienza ragiona senza alcun contenuto possibile, anche la logica parla di “proposizioni”. Una formula di questo genere “a implica b” non ha alcun senso se non sappiamo già che “a” e “b” sono frasi possibili.
[...] Possiamo adesso concludere. In primo luogo, la parola “semplice” non ha alcun senso al di fuori di un contesto. Nelle teorie scientifiche essa ha rilevanza in due sensi:
  1. Il minimo nucleo d’informazione di una teoria è il semplice.
  2. Il numero delle premesse di una teoria indica il grado di “semplicità” di una teoria.
Così abbiamo tenuto conto sia del valore “assoluto” di semplicità che del suo grado di relatività. Solo all’interno di una teoria il “semplice” ha un senso."
Giangiuseppe Pili, "Il semplice: un concetto complesso e non facile", su scuolafilosofica, 21 Novembre 2011dal web : http://www.scuolafilosofica.com/419/il-semplice-un-concetto-complesso-e-non-facile



"Il meno è più (Less is more)."
Mies van der Rohe
dal web: http://aforismi.meglio.it/aforismi-di.htm?n=Ludwig+Mies+van+der+Rohe 

"Tra due spiegazioni, scegli la più chiara. Tra due forme, la più elementare. Tra due parole, la più breve."
Eugenio d'OrsQuando sono tranquillo, 1930

"Di tutte le disposizioni dell'animo, la semplicità è ciò che conduce a una vita felice."
Axel OxenstiernaRiflessioni e massime, 1645

"La semplicità è la principale condizione della bellezza morale."
Lev TolstojDiari, 1847-1910 (postumo, 1928/58)
dal web: http://www.aforismario.it/aforismi-semplicita.htm

“La bellezza è come una gemma preziosa, per la quale la migliore montatura è la più semplice.” Sir Francis Bacon


Zen e l'arte della semplicità al lavoro
"L'ideale estetico Zen denominato Shibumi definisce gli oggetti e le esperienze che risultano belli in maniera diretta, semplice, senza eccessi: la cui caratteristica è l'elegante semplicità, l'efficacia senza sforzo e la suggestiva imperfezione.

Parlando dell'estetica Zen, ciò che rende Shibumi particolare, come potente ideale di design, è la combinazione unica di rara semplicità e impatto sorprendente.
Comporta il raggiungimento del massimo effetto con il minimo sforzo, che in realtà è un esercizio universale utilizzato in molte forme: artisti e designer, infatti, utilizzano lo spazio bianco o 'negativo' per trasmettere potenza visiva; scienziati, matematici e tecnici di ricerca lo usano per le teorie che spiegano i fenomeni altamente complessi in modo incredibilmente semplice.

Ciò che queste varie forme hanno in comune, è proprio la caratteristica principale dello shibumi: l'elemento della sottrazione.
Il pensiero di sottrarre qualcosa al fine di creare valore [...]  è la chiave di volta dello Zen.
La domanda che ne deriva è: come si applica nella realtà questa qualità elusiva?
Cercando la risposta diamo un'occhiata ai principi di progettazione specifici dello Zen, che individuano e sostengono la ricerca dello shibumi e poi, alle loro applicazioni pratiche per le progettazioni di business e lavoro.

1. Koko (austerità)

Steve Jobs, 1982 (image courtesy Elephant Journal)
dal web:
http://chatterbox.typepad.com/portlandarchitecture/meta_media/
Il primo principio è quello denominato Koko, che enfatizza la moderazione, l'esclusione e l'omissione, abbracciando l'idea che 'non aggiungere' è un valido approccio sottrattivo.
C'è una foto illuminante del giovane Steve Jobs (un praticante buddista) scattata intorno al 1982, seduto nel mezzo del salotto della sua casa di Los Altos.
Nella stanza non c'è molto, un sistema audio e una lampada Tiffany. Steve lavora sorseggiando un tè, seduto alla maniera yoga su una stuoia, con pochi libri intorno a lui.
L'immagine spiega più di molte parole la filosofia di progettazione di ogni prodotto Apple realizzato sotto la sua direzione e aiuta anche a spiegare la sua avversione per i pulsanti. [...]

Lezione di design Zen #1: astenersi dall'aggiungere ciò che non è assolutamente necessario.

2. Kanso (semplicità)

Kanso impone che bellezza e utilità non debbano essere eccessivamente caricati, decorativi o fantasiosi preferendo un senso di freschezza, pulizia e ordine.[...]

Lezione di design Zen #2: eliminare ciò che non serve per fare più spazio per ciò che si utilizza.

3. Shizen (naturalità)

Shizen vuole trovare un equilibrio tra l'essere contemporaneamente 'naturale', ma con una propria distinzione, e l'essere visto senza pretese, senza artifici, non forzato, per essere considerato come intenzionale piuttosto che accidentale o casuale.
Quando Ben Hamilton-Baillie esperto di progettazione urbana nel Regno Unito ha elaborato gli "spazi condivisi" nei dintorni di Kensington High Street e Sloane Square a Londra, si è rifatto all'esperienza degli incroci di grande traffico olandesi, a loro volta ispiratisi allo Shizen, che sono stati ridisegnati privi di controlli, seguendo il principio dello spazio condiviso.
In queste intersezioni di spazio condiviso, i cordoli sono stati eliminati, l'asfalto sostituito con mattoni rossi e sono state realizzate fontane, giardini e dehor di caffé.
Quando si arriva a questi incroci, si può solo rallentare per partecipare a questo tipo di interazione usando l'intelligenza.
Il risultato è un ordine organico, naturalmente autogestito che ha ridotto della metà gli incidenti e del doppio il flusso di veicoli. L'unica regola è guidata dal contesto: i soggetti responsabilizzati devono utilizzare la loro testa per controllare la situazione e questa interazione comporta il rispetto per le persone più vulnerabili.

Lezione di design Zen #3: incorporare modelli e ritmi naturali quando si progetta una soluzione.

4. Yugen (sottigliezza, implicazione)

Il principio di Yugen individua il punto di vista Zen secondo cui il potere della suggestione spesso è più forte di quello della manifestazione: lasciare qualcosa all'immaginazione crea un'irresistibile aura di mistero, che lascia a noi lo spazio (e lo stimolo) per trovare risposte convincenti.
La seduzione si trova in ciò che non conosciamo, perché ciò che non conosciamo ci interessa di più di quello che sappiamo, infatti siamo curiosi per natura.[...]

Lezione di design Zen #4: limitare le informazioni e lasciare spazio all'immaginazione e alla curiosità

5. Fukinsei (imperfezione, asimmetria)

L'obiettivo del Fukinsei è di sollecitare la naturale inclinazione umana a cercare la simmetria.
Quasi tutto in natura è simmetrico, si tratta del principio organizzatore predominante dell'universo, la legge fisica dell'equilibrio.
Ma poiché è così prevalente, diamo spesso la simmetria per scontata, fino a quando è presente.[...]
  
Lezione di design Zen #5: lasciare spazio agli altri di co-creare con voi; fornire una piattaforma per l'innovazione aperta."

Matthew May, Zen e l'arte della semplicità al lavoro, su Cultor College, dal web:  dal web : http://www.cultor.org/zen/z.html


11 DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Semplificare, Complicare...Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi - Bruno Munari - 

lunedì 20 gennaio 2014


Semplificare, Complicare...Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi - Bruno Munari

Foto 2- Copertina di "Da cosa nasce cosa"
grazie a Marina! che ha riportato alcune mie citazioni di Munari estendendole e lavorando a questo post, per tutti noi ed anche a mezza giornata dal tema trattato a Lezione.
Ottimo. va ovviamente nella Bibliografia fondamentale.
cp


Foto 1- Bruno Munari
Semplificare vuol dire cercare di risolvere il problema eliminando tutto ciò che non serve alla realizzazione delle funzioni. 
Semplificare vuol dire ridurre i costi, diminuire i tempi di lavorazione, di montaggio, di finitura. 
Vuol dire risolvere i problemi assieme a un’unica soluzione.

Semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività. Complicare è molto facile, 
basta aggiungere tutto quello che ci viene in mente senza preoccuparsi se i costi vanno oltre i limiti di vendita, 
se ci si mette più tempo a realizzare l’oggetto, e via dicendo. 
Bisogna però dire che il pubblico, in genere, è più propenso a valutare il “tanto lavoro” manuale che ci vuole a realizzare una cosa complicata piuttosto che a riconoscere il “tanto lavoro” mentale che ci vuole per semplificare, dato che poi non si vede. Infatti la gente di fronte a soluzioni estremamente semplici, che magari hanno richiesto lunghi tempi di ricerche e di prove, dice: ma come, è tutto qui? Ma questo lo so fare anch’io!
Quando qualcuno dice
questo lo so fare anch’io
vuol dire che lo sa Rifare
altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, editori Laterza, Roma, 2005, pag.132, da riga n 1 a n 26.
*
Un concetto opposto alla semplicità e alla moderazione economica, ma anch’esso molto caro a Bruno Munari, è quello dell’eccessivo costo di taluni oggetti, legato al “lusso”, che così definisce:
È la manifestazione dell’importanza che viene data all’esteriorità e rivela la mancanza di interesse per tutto ciò che è elevazione culturale. È il trionfo dell’apparenza sulla sostanza. […] Per esempio a cosa servono rubinetti d’oro? Se da quei rubinetti d’oro esce un’acqua inquinata non è più intelligente, con la stessa spesa mettere un depuratore d’acqua e tenere rubinetti normali? Il lusso è l’uso sbagliato di materiali costosi che non migliora le funzioni. Quindi è stupidaggine. […] Il lusso non è un problema di design.
Bruno Munari, op.cit., pp.11-12
Foto 3- Micheal Thonet e sedia n.14
Immagine 4- disegno esplicativo di Munari
Vediamo quindi un famoso esempio di semplificazione: la sedia n.14 del signor Michael Thonet. Michael Thonet era una falegname intagliatore, nato a Boppard sul Reno nel 1796. Se fosse stato un artigiano ripetitore di forme usate, e non un creativo, sarebbe certamente dimenticato come la grande quantità di artigiani ripetitivi, invece se noi oggi ci occupiamo del suo lavoro vuol dire che era proprio un designer […]. Uno che inventa un nuova tecnica per risolvere i problemi con più semplicità senza dimenticare l’estetica che può nascere da quella tecnica.
Le sedie di quei tempi erano fatte di tanti pezzi di legno, tanti listelli o bastoni messi assieme a incastro o con colle. Ogni pezzo di legno doveva essere lavorato, finito, incastrato, incollato per formare la sedia. C’erano i quattro montanti delle gambe, lo schienale, il sedile, i listelli di rinforzo per tenere assieme le gambe e tutto il resto. Si parla qui di sedie economiche, non di sedie di lusso, intagliate, fatte per la solita élite. Tanto per fare un esempio […] la sedia di Chiavari è fatta con sedici pezzi, è leggera e comoda. La sedia Windsor è fatta con ventitré pezzi ed è piuttosto pesante. La fattura e il montaggio di tutti questi pezzi richiedevano molto lavoro e spreco di materiale. 
Immagine 5- disegno esplicativo di Munari
Michael Thonet pensò che forse si sarebbe potuto inventare una sedia più semplice, fatta senza spreco leggera ed elegante.
Immagine 6 - scomposizione di n.14
Forse esaminando dei mobili di malacca(*) curvata gli venne in mente di provare a curvare dei bastoni a sezione rotonda, di faggio, inzuppati di vapore […] per poi inserirli in uno stampo e seccarli facendo evaporare l’umidità assorbita. In questo modo i bastoni avrebbero conservato le forme volute. […] Thonet pensò che curvando il legno si potevano riunire più funzioni: i piedi posteriori e lo schienale potevano essere un pezzo solo, che non aveva più bisogno di incastri o di colle. Il sedile, invece di farlo quadrato lo fece rotondo in un pezzo solo invece  che in quattro pezzi da incastrare. In questo modo la sua prima sedia fu realizzata in soli sei pezzi e tenuta assieme con solo dieci viti. Era l’anno 1859 quando la sedia nuova, modello 14, si realizzò. Ancora oggi questa sedia viene costruita nello stesso modo e fino a poco tempo fa ne sono state prodotte oltre settanta milioni di esemplari. La sedia così progettata e costruita risultò più economica, più pratica, leggera ed elegante per la coerenza formale del materiale, della tecnologia usata, senza nessuna forzatura decorativa oltre alle forme nate dalla tecnica. Con lo stesso principio progettuale Thonet produsse poi tutta una serie di sedie, sgabelli, poltrone e poltroncine che risultano di una coerenza formale esemplare.
Bruno Munari, op.cit., pp.133-134-136, da riga n 1 a n 26.

(*) malacca s. f. [dalla penisola asiatica della Malacca, nell’Asia merid.]. – Sorta di canna d’India usata per fabbricare bastoni, mani d’ombrello, ecc.

AA.VV., Il grande dizionario Garzanti, Garzanti Editore, Milano, 1988, pag.1096
Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi
Bruno Munari, Verbale scritto, ediz. Corraini, Mantova, 2008
Fonti foto:
1- http://artiseverywhere.serraglia.com/category/%E2%80%A2name/bruno-munari/page/2/
2-http://www.revolutionine.com/2009/09/09/creativita-non-vuol-dire-improvvisazione-senza-metodo/
3- http://www.hidesign.it/it/catalogo/product/show/cid-4992/sedia-stuhl-no14

Fonti immagini:
4 - 5 - Bruno Munari, Da cosa nasce cosa editori Laterza, Roma, 2005, pag. 135
6 - Bruno Munari, op.cit., pag. 137

Marina Arillotta


1o DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Gae Aulenti, architetto designer, donna  - 

venerdì 17 gennaio 2014


Gae Aulenti, architetto designer, donna 

doodle di Google dedicato a Gae Aulenti & Pipistrello
post perfetto! ecco un'allieva che oltre le sue indiscutibili capacità, dimostra di aver letto, osservato e seguito temi, aspetti, linee e modalità del corso.
bravissima! ripeto: post interessantissimo, magistrale, una chiave  e resoconto del lavoro e l'esempio di Gae Aulenti e della nostra storia: ciò che siamo, che potremmo o dovremmo essere, ciò che non riusciamo ad essere. va in DEEPS Design: bibliografia di approfondimento.
inserisco il doodle di Google perché in aula a dicembre l'abbiamo, anzi l'avete ricordato: eravate in grado di riconoscere il riferimento. fu per me un momento di grande gioia e commozione.
cp
Gae Aulenti, architetto designer, donna
Foto 1
"La chiamavo la leonessa. La prima volta era capitato, se non ricordo male, a un convegno o in un' intervista. Qualche giorno dopo mi chiamò a Parigi. Sono la leonessa, mi disse con la sua voce arrochita dal fumo. Ridemmo.”[...]Renzo Piano conobbe Gae Aulenti quando lei era al Politecnico di Milano, assistente di Ernesto Nathan Rogers. "Erano i primi anni Sessanta, io lavoravo già con Franco Albini, ma per la cattedra di Composizione, tenuta da Rogers […].La incontrai allora". Una donna in un mondo maschile. […]  Avete mai lavorato insieme? “No. Il suo stile in architettura non è il mio. Ma la considero comunque una maestra per il suo metodo professionale, per la cura dei materiali, del dettaglio. E poi per la sua presenza civica, per il modo in cui le sue competenze erano al servizio di una causa civile” […] “E poi mancherà la sua presenza civica. Il suo impegno politico, le sue battaglie per una città giusta e pianificata?[…] “Direi che Gae aveva un tratto che andava oltre lo schieramento politico. Era, appunto, civismo. Una virtù poco praticata. Forza ed eleganza insieme. Una vera leonessa.
(Francesco Erbani, Renzo  Piano: hanno provato a farci litigare ma per me lei sarà sempre la leonessa”, la Repubblica, 02 novembre 2012, 38 sez. cultura http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/02/renzo-piano-hanno-provato-farci-litigare-ma.html )
Gaetana Aulenti, detta Gae,  nasce in provincia di Udine, a Palazzolo della Stella, il 4 dicembre del 1927, da una famiglia di origini meridionali, papà commercialista di origini pugliesi e madre napoletana, Gae Aulenti inizia a frequentare il Liceo artistico di Firenze, ma poi torna al Nord dove studia privatamente. "Prestavo allora dei piccoli servizi alla Resistenza,[…]si fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che sparirono da un giorno all'altro. La coscienza civile nacque lì".(Da: Ansa, “Gae Aulenti, le sue opere più famose”, Panorama, 02 Novembre 2012, http://cultura.panorama.it/arte-idee/gae-aulenti-morta-architettura-opere)
“L'architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla". 
Una frase emblematica pronunciata dall'architetto Gae Aulenti,[…] che mostra, la sua ironia, la sua grande umanità e la sua proverbiale timidezza. (Da: Espazium, “In ricordo di Gae Aulenti”, 01 novembre 2012,https://www.espazium.ch/archi/news/ricordo-di-gae-aulenti )
Foto 2
Scomparsa lo scorso novembre 2012 all’età di 84 anni, Gae Aulenti rappresenta una delle figure centrali della ricerca architettonica della storia contemporanea. […]Maestra della linea, la Aulenti si è distinta nel campo dell’allestimento e del restauro architettonico, nell’architettura d’interni, specializzandosi in design industriale, e in campo urbanistico. Allieva diErnesto Nathan Rogers, aveva ereditato pienamente il suo insegnamento, al punto da considerare arredamento e urbanistica come gli estremi dell’attività di un architetto moderno. Non a caso l’attività della ‘Signora dell’Architettura’ ruotava attorno a queste due polarità ,ottenendo riconoscimenti in entrambi i campi, dall’architettura, al design e alla progettazione degli spazi. Alla fine degli anni ’60, l’architetto e designer italiana firmava due negozi, a Parigi Buenos Aires, e cominciava così a far conoscere nel mondo il suo nome e il suo stile, associandolo a una delle aziende più illuminate del tempo, l’Olivetti. Designer di grido, divenne scenografa di Luca Ronconi, costumista per il Wozzeck di Alban Berg alla Scala, musa di Karlheinz Stockhausen e alla fine venne promossa “interior decorator” di casa Agnelli. Severa e rigorosa, maschile nei tratti, i capelli tagliati come quelli dell’Auriga di Delfi, in Francia la chiamavano la “Magicienne des formes”, miscelatrice di simmetrie e asimmetrie.”‘Dal particolare al generale, dal cucchiaio alla città” era il motto del maestro Ernesto Nathan Rogers, e lo fece suo. (Di: Clara Salzano, “La mostra tributo di Gae Aulenti al Triennale Design Museum”, 8 maggio 2013, http://www.fanpage.it/la-mostra-tributo-a-gae-aulenti-al-triennale-design-museum/ )
Dalla matita di Gae Aulenti sono nate opere come il Museo d’Orsay di Parigi

Il museo parigino è famoso per tre motivi: uno perché ospita i maggiori esponenti dell’impressionismo pittorico come Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Vincent Van Gogh. Il secondo motivo è perché si trova di fronte al famigerato Louvre. Il terzo perché è stato creato da un architetto italiano, un architetto donna.  (Da: 9colonne, “Gae Aulenti, l’architettura è donna”,http://9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=50458#.UsWs1fTuJ8E  )
Foto 4
Del singolare percorso di Gae Aulenti nella storia del design industriale, rimangono tracce indelebili come la sedia a dondoloSgarsulv  prodotta nel 1962 da Poltronova (foto 4) o il tavolino in vetro con rotelle disegnato nel 1980 per Fontana Arte (foto 5) o ancora la lampada da tavolo Pipistrello per Martinelli Luce (1963, foto 6). Ha lavorato fino all’ultimo e tra i suoi ultimi progetti ci sono quello per l’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo (2006), la ristrutturazione e       ampliamento dell’aeroporto San Francesco d’Assisi diPerugia e, recentissimo, il restyling dello storico Palazzo Branciforte, nel cuore del centro storico di Palermo, restaurato e restituito alla città come polo culturale e polifunzionale. 
Foto 5
Foto 6









(Da: Leonardo, “Con Gae Aulenti se ne va un simbolo dell'architettura italiana”,http://www.leonardo.tv/articoli/con-gae-aulenti-se-ne-va-un-simbolo-dellarchitettura-italiana/)
“Bisogna progettare per un senso collettivo, non per una blasfemia individuale”
( Gae Aulenti, da: Alberto Apostoli, “86° Anniversario della nascita di Gae Aulenti” , Il blog di Alberto Apostoli, 04 dicembre2013,http://www.albertoapostoli.com/blog/news/86-anniversario-della-nascita-di-gae-aulenti)
G.L.R. Parliamo di design. Lunedì 3 maggio nello studio del suo amico architetto Emilio Battisti si è parlato di design conAlessandro MendiniAlberto Meda e Enzo Mari […]Il primo ha dichiarato che Oggi il disegno industriale non ha più alcun valore, di parere diverso Meda: Non è vero. L’oggetto industriale riesce ancora ad emozionare. Il più critico è stato Mari: Il design è finito, si è ridotto a quattro carabattole, non siamo capaci di fare più niente, dobbiamo abbassare la testa, lo sguardo e lavorare, dobbiamo lavorare come chi fa i prosciutti in una fabbrica, scendere dal piedistallo ed essere concreti. Lei che cosa pensa del design di oggi?  
G.A. Oggi i giovani lavorano molto, ma lavorano sulle immagini… come le archistar. Fanno tutto in stile. È tutto decorazione, non c’è più il disegno di una lampada o di una sedia prodotta dall’industria. Insomma questo Novembre –Fabio Novembre, designer e architetto nato a Lecce nel 1966 - ha fatto un culo di una donna – sedia Her, 2008 – ha in mente? Ecco allora io gli dico vaffanculo… tu scrivilo, se vuoi. […]Credono di essere furbi… 
 G.L.R. È una provocazione?                                                                                                                      
 G.A. No, è una stupidaggine. Va detto il nome vero di queste cose stupide. Sono stupidaggini.                  
 G.L.R. Come dovrebbe essere il design di oggi?                                                                      
 G.A. Vanno ricercate nuove forme, ma sempre pensando alla produzione, creare per un senso collettivo delle cose, non per un senso di blasfemia individuale…                                                        
G.L.R. E rispetto a quello che hanno dichiarato Meda, Mendini, Mari… lei come si colloca?     
G.A. Mari è un vero studioso e quando dice così protesta per come vanno le cose, però ha ragione. Mendini che è una persona molto intelligente e simpatica, ha sempre tentato di emergere e continuerà a farlo con la sua intelligenza e con le sue capacità.                                
G.L.R. Il disegno industriale esiste ancora?                                                                          
G.A. Non c’è più, ha perso un po’ il senso. Guarda che c’è anche un’altra differenza. Noi per esempio prima eravamo architetti che facevano design, oggi i designer non sono architetti quindi non hanno il senso dello spazio, non hanno un senso… una lampada va disegnata per uno spazio non per se stessa. 
 G.L.R. È importante la multidisciplinarietà?                                                                               
 G.A. È ancora il contesto del design, è ancora una questione di contesto sia fisico, nello spazio, che concettuale.
(Greta La Rocca, “Gae Aulenti -Bisogna progettare per un senso collettivo, non per blasfemia individuale-” , 24 giugno 2010, http://www.immobilia-re.eu/gae-aulenti-bisogna-progettare-per-un-senso-collettivo-delle-cose-non-per-un-senso-di-blasfemia-individuale-2/)
 “La luce è impressionismo”
A. Di cosa dovremmo parlare?
R. Potremmo parlare di luce, di cultura della luce, di luce e architettura di luce nell'architettura; tu lavori come designer e come architetto che rapporto c'è tra le tue lampade e le tue architetture?
A. Mah ...io non ho quasi mai disegnato lampade da sole, le mie lampade sono una conseguenza, io ho sempre disegnato lampade per luoghi specifici, alcune poi sono entrate in produzione...
 R. Non hai mai disegnato senza pensare ad un luogo?
 A. Poco… ho disegnato un sistema per uffici... i "Sistemi Tre", ma tu non la ricorderai, in genere le mie lampade sono legate a situazioni precise, a spazi e tempi di progetti d'architettura....
R. Allora sei una designer un pò casuale, un pò occasionale rispetto agli specialisti della luce, ai tecnologi dell'illuminazione...
A. Sì, anche se però c'è sempre alla base una riflessione sull'uso che comporta una riflessione tecnica, come per questa qui...
R. Quale?
A. Questa qui sul tavolo... si chiama... oddio non mi ricordo.... si chiama Pietra, è una luce che io considero una luce da ufficio,... non è una luce per lavorare, ma una luce per "parlare" intorno ad un tavolo, perché non sempre si lavora leggendo o scrivendo, si lavora molto anche parlando e allora ho pensato a una luce da ufficio per illuminare discretamente un colloquio...
R. Pensi più partendo da situazioni che da prestazioni tecniche o illuminotecniche?
A. Io penso che noi lavoriamo con tre cose: gli spazi, la luce soprattutto diurna, ma anche notturna, e l'architettura; poi c'è la luce come disegno, come strumento di puntualizzazione architettonica e la luce come fatto funzionale integrato come nei musei, dove fa parte della progettazione, non solo del desiderio, ma della necessità.[…]
R. Qual'è la prima lampada che hai disegnato?
A. La "Giova"(foto 7) che è un vaso su una lampada, una pianta sopra una luce, e poi la "Pipistrello" .

Foto 7
R. Che mi sembrano appartenere a due mondi diversi.
A. Perché?
R. La prima è una sovrapposizione di geometrie, tre bolle tutte trasparenti, quasi purista, la Pipistrello è invece quasi espressionista, molto disegnata un po’ neoliberty....
A. Neoliberty...mmh, non direi.
R. Dico neoliberty come rifiuto di linearità e di geometrie fredde, in fondo è una lampada calda con le ali nere un po’ animalesche...[…]
R. Parlando di design di lampade hai detto che è morto "l'abat-jour"...che cosa vuoi dire che non si può fare, non serve più...?
Foto 11
A. No, non è morto, l'abat-jour si può fare bisogna vedere come, perché il fatto è che con il Movimento moderno le luci sono diventate luci più dirette, piene, chiare, non mediate...direi quasi luci tecniche che non sprecano un lux; invece quello che si chiede e si chiedeva all'abat-jour è una luce corretta, mediata che vuol dire proteggerti dalla luce e non tanto moltiplicarla verso una direzione precisa con una funzione precisa. L'unica lampada moderna che si sia posta questo problema è stata quella di Noguchi, quella di carta, quella Giapponese.[…]
R. Vuoi dire che spesso è più utile vedere poco per...
A. Per indovinare molto, per immaginare, se non vedi i limiti di una stanza in penombra la puoi immaginare e sentire molto più grande.
R. Come ti senti rispetto all'evoluzione tecnologica nel campo illuminotecnico[…]?
A. Non mi interessa tanto...voglio dire che l'avanzamento tecnologico ha una sua necessità fondamentale ma non credo che una attenzione preminente a questo mondo faccia automaticamente nascere forme nuove. […]E poi credo che il vero protagonista involontario di questo "avanzamento" tecnologico sia il dimmer...
R. Il dimmer?
A. Sì perché con le nuove tecnologie è tale la quantità di luce che può uscire da queste microlampadine che alla fine è sempre troppa a allora giù coi dimmer per ridurla perché abbaglia è troppo sparata, si vedono le rughe in faccia, non aiuta la concentrazione... e invece il progetto luminoso è un progetto di mediazione, di sottrazione.
R. Quindi vorresti fare lampade che fanno poca luce?
A. Vorrei fare delle lampade che anche se ne fanno un po’ meno vadano bene lo stesso.
R. Come ti muovi tra i due estremi contemporanei del design minimale e di quello espressivo estroverso?
A. Dunque, io cose minimali è molto difficile che ne faccia perchè io non ricerco il minimalismo ma semmai la semplicità che è una cosa molto differente. Voglio dire che non è che con delle forme espressive tu non riesca a raggiungere la semplicità, anzi io credo che questa sia la cosa più difficile e più bella da raggiungere. Il minimalismo non mi interessa e non mi appartiene perchè io ritengo che un oggetto debba parlare forte di un linguaggio possibile per raggiungere il maggior numero di persone...anche se poi ne raggiunge sempre la metà.
R. Però il tuo tavolo di vetro con le ruote è minimale , è quasi un azzeramento di linguaggio, come lo spieghi?
A. Non lo spiego, è un'idea che quasi non ho cercato e stata l'intuizione di un giorno che in fabbrica in Fontana Arte ho visto trasportare le lastre di vetro su dei piani di legno con ruote industriali, e ho pensato che si poteva togliere il legno e c'era un tavolo già fatto, è stato quasi obbligatorio, direi un atto di "non disegno" non un disegno minimale voluto. Infatti non ho mai fatto più niente di simile; perché ho una attitudine più sperimentale legata alle cose, al vedere cosa succede lavorando su materiali diversi , sia vecchi che nuovi... La mia caratteristica è quella di disegnare molto, forse troppo, mentre il minimalismo è concettuale lavora più sulle idee quasi che la materia sia un accidente... […]
R. E la casa?
A. Cosa vuoi sapere?
R. Nella casa nell'ambiente domestico come entra la nuova tecnologia, l'evoluzione illuminotecnica? in fondo la vera rivoluzione nel design l'hanno fatta le lampadine.
A. Non saprei, io continuo a pensare che le nuove lampadine hanno anche deformato il discorso luminoso nelle case trasformandole in uno spazio con tanti punti di luce, che mi ricorda un po’ le processioni, le madonne; tante luci diverse come se per ogni funzione ci debba essere la lampadina, mentre poi sappiamo che una stessa luce cambia a seconda di quello che gli mettiamo attorno. Per esempio io ho sempre odiato quei faretti tecnici americani direzionali, che illuminano per punti invece di diffondere; appunto il contrario di quello che fa l'architettura con la luce. Io sono contro l'abbagliamento e tanto più nella vita quotidiana mi sembra che certe nuove luci hanno trasformato nei salotti la conversazione in un interrogatorio. […]
R. Insomma non bisogna dimenticare la vecchia tapparella?
A. Meglio ancora la persiana, è più semplice, e ricordarsi che di giorno una finestra è una bellissima lampada.
(Da: Franco Raggi, "Architettura e luce mediata. " Colloquio tra Gae Aulenti e Franco Raggi sulla luce in architettura, il neoliberty, i musei, il minimalismo, il teatro e le persiane”,  23 maggio 1991, http://www.apilblog.it/wp-content/uploads/2012/11/Intervista-Gae-Aulenti1.pdf )
Lampada Pipistrello 
L’humus in cui germina la lampada Pipistrello, disegnata da Gae Aulenti nel 1965 per Martinelli, è fervido. Gli anni '50 e '60 per l'esordiente architetto sono densi di esperienze ed iniziative. In realtà poca progettazione architettonica, ancora meno le realizzazioni, ma tante frequentazioni, influssi e collaborazioni e molto industrial design, in particolare nel settore illuminotecnico. […]Lanciata sul mercato nel 1967, la Pipistrello venne commercializzata in tutto il mondo, grazie alla visibilità che ebbe col 1972, quando non solo la Aulenti - che poté presentare oggetti di industrial design ed allestimenti- ma tutto il design italiano  (rappresentato nell'esposizione dai progetti più noti di Zanuso, Sottsass, Pesce, Sapper, Archizoom, ecc..) si affacciò alla ribalta mondiale: il merito fu della mostra Italy: The New Domestic Landscape, tenutasi al MoMA di New York. 
Il progetto della Pipistrello partì in sordina e per un anno rimase nei cassetti di Elio Martinelli. Difficile infatti, secondo i resoconti di Emiliana (la figlia di Elio) risultava l'industrializzazione del fusto telescopico, così come la forma complessa delle falde del diffusore, ad ali di pipistrello, che non era facile realizzare per gli stampaggi dell'epoca
Esemplare nella lampada della Martinelli l'approccio che Gae usava nella progettazione. Mai ‘regolare’ e con l'introduzione ogni volta di linguaggi nuovi, sorprendenti, spesso spaesanti. Nel progetto, dimostra di saper tessere legami sottili con il passato, inserendo nel contempo, elementi di discontinuità.

Il punto di partenza era l'archetipo costituito dal modello delle abat-jours Tiffany (foto 11) e quelle pre-Bauhaus, che però stravolge. Il risultato raggiunto appare stupefacente, perché la linea della lampada esprime una modernità ‘diversa’ ed inaspettata, affatto convenzionale: l’andamento sinuoso, curvilineo, vagamente flamboyant del fusto telescopico e del ‘cappello’, effettivamente non può non ricordare il profilo di alcune lampade liberty. Il risultato, come dicevamo, è qualcosa di mai visto prima; eppure con la Pipistrello, c'è da riconoscere che mai lampada moderna fu più neoliberty.


Recentemente, il designer friulano concordò con la Martinelli alcune variazioni della lampada - divenuta nel frattempo un'icona - con la base in finitura alluminiocromato lucido, satinato e rosso carminio, mentre la sua riprogettazione in scala minore, l'attuale Minipipistrello(foto13) è del tutto estranea all'architetto friulano, che a causa dell'aggravamento delle condizioni di salute, non fu informata. Un'attenzione alla funzionalità della Pipistrello originaria, che si rivela versatile per il suo doppio utilizzo, sia come lampada da appoggio che come lampada da terra e da lettura qualora si fosse sollevato il fusto attraverso il pomello imitante un bulbo ad incandescenza posto sulla sommità del diffusore.
Foto 15
foto 18
Inizialmente era stata pensata da Gae per l'illuminazione di alcuni spazi commerciali trovò ambito e giusto risalto nei negozi della Olivetti di Parigi e di Buenos Aires allestiti proprio da Gae in quegli stessi anni (1965 e '67) e la vediamo sopra gli espositori da lei disegnati accostata ad un'altra lampada, di poco successiva, King Sun di Kartellaltro suo progetto. Infine, da segnalare l'epigono della Pipistrello. Gae progettò nel 1974 per laHarvey Guzzini un modello che presentava una forte continuità col modello di 10 anni prima, la Quadrifoglio (foto 18), della quale mantenne la concezione della struttura in acciaio e diffusore in metacrilato, sempre ripartito in 4 falde. L'estrema fluidità delle forme e l'attenzione ad alcuni dettagli decorativi (l'andamento floreale del fusto sdoppiato in 4 bracci - che per morbidezza di disegno quasi non pare acciaio) ne fanno uno degli oggetti più compiutamente liberty ideati dalla Aulenti. E tra i più amati dal pubblico considerando il successo commerciale che fu duraturo, tanto, che fece propendere l'azienda a declinarla in altre tipologie (terra e sospensione). (Da: Lot, “Classici del design: lampada Pipistrello”, 08 dicembre 2013http://www.arredamento.it/forum/viewtopic.php?f=28&t=113970)
Fonti foto

DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Lampada Eclipse di Vico Magistretti - 

nedì 6 gennaio 2014


Lampada Eclipse di Vico Magistretti

da: Giorgio Dall'Osso, "La luce nera" si tratta di una pubblicazione del Workshop: "Luce architetto dell'ombra", svoltosi a Venezianel  settembre del 2011, Ed.  a cura dell' Università  Iuav di Venezia.

Foto 1 - Eclipse: le tre fasi della luce 
"La lampada di Magistretti disegna, con il suo corpo formato da tre parti di sfera, la scena di un eclissi di sole. La luce scaturisce dal cuore della lampada e cerca di sfuggire al buio che ricopre sempre di più il centro all’avanzare dell’eclissi. É qui che nasce la luce nera, una scena oscurata che mantiene un chia­rore. La luce diventa contorno alla sorgente e ne in­gentilisce i contorni. Il cuore nero della lampada è un attimo, un momento della luce, una tangenza tra due mondi, la luce e il buio. Il tema della luce nera punta su un momento particolare, quando il centro della sorgen­te luminosa diventa il luogo più scuro della scena. Si tratta dunque di scandagliare il significato profondo di questo “momento della luce”. 
Foto 2 - Lampadina nera 
o Lampada di Wood
La fonte luminosa, che irradia l’ambiente circostante come un cuore con le sue arterie, cambia aspetto, diventa un cuore nero che nonostante l’aspetto oscuro continua a portare in sé un’energia irradiante. La luce nera è dunque una scena oscurata che mantiene un proprio chiarore; un attimo in cui si verifica la tangenza tra i mondi della luce e dell’ombra; un nero che ingloba la luce e ne è inglobato a sua volta; uno scambio tra opposti che genera, per un momento, una nuova fase della luce. Nel suo essere momento, la luce nera è incerta e su­blime. Parlando di luce nera è doveroso citare le sue due concretizzazioni più rappresentative, una nel mondo naturale, l’eclissi, l’altra in quello artificiale, la lampadina nera. La prima nata dall'allineamento di pianeti, la seconda, artificio dell’uomo usato nel mondo professionale. 
Per Lampada di Wood o luce nera si intende una sorgente luminosa che emette radiazioni elettromagnetiche prevalentemente nella gamma degli ultravioletti e in misura trascurabile nel campo della luce visibile. [...] Nei luoghi di divertimento le lampade di Wood sono ampiamente usate per creare effetti di fluorescenza su vestiti, occhi e denti" ...
Foto 3 - Eclisse 
"... La parola eclissi deriva dal greco: έκ (ek), preposizione che significa “da” (moto da luogo), e λείπειν, (leipein), che significa “allontanarsi” ovvero “nascondersi”, “render­si invisibile”...


"... È il 1965 quando Vico Magistretti progetta per l’Ar- temide la lampada Eclisse che verrà prodotta dalla stessa casa nel 1967. Sulla lampada, Magistretti afferma di essersi ispirato alle antiche lampade dei ladri e dei minatori dette “lanterne cieche”:

“[...] guardando una cosa che non era mai servita per leggere di notte, ma per rubare, come la lampada dei ladri, quella lanterna cieca, ha fatto venir fuori un’altra lampada che era l’‘eclissi’ insomma [...]”

Lo stesso anno della produzione la lampada vince il prestigioso premio di design “compasso d’oro” e il Museum of Modern Art di New York (MOMA) la anno- vera nella sua collezione di oggetti di design.

Foto 4 - Eclipse,  1965 
La lampada Eclisse è costituita da due parti di sfere (A e C) e da una semisfera (B). Le due parti di sfere costituiscono la parte superiore della lampada, sono concentriche e un perno permette a quella più pic­cola (C) di girare all’interno dell’altra (A) che è invece ancorata all’asse verticale. Le due parti di sfera inglo­bano al loro interno una lampadina di forma sferica ed il supporto cilindrico della stessa. La parte di sfera esterna (A) è idealmente tangente alla semisfera (B) sottostante che funge da base del­la lampada. Al di sotto della semisfera, un cilindro di minima altezza e di diametro di poco inferiore a quello della sfera, fa appoggiare la lampada al piano. Nella calotta inferiore delle due parti di sfere (A e C) è inserita una ghiera di plastica di spessore minimo. La lampada è di dimensioni piuttosto ridotte e presenta un buon rapporto tra le parti, infatti, analizzandola, si scopre che le dimensioni sono state ricavate tramite uno studio della forma basato sul rapporto aureo. La lampada in generale presenta una simmetria totale rispetto all’asse verticale ed orizzontale. Quando la parte di sfera mobile (C) è rivolta con l’incavo verso l’esterno la lampada, sul piano frontale, risulta perfet­tamente simmetrica mentre sul piano laterale il taglio delle sfere superiori rompe la simmetria. Sotto molti aspetti la forma della lampada sottolinea quello che già il nome della stessa aveva palesato, l’eclisse. In particolare la rotazione della sfera interna, più piccola rispetto a quella che l’avvolge, richiama il ruotare delle orbite dei pianeti così come le forme tonde imitano l’ideale dei corpi del sistema solare. In­fine anche la tangenza tra le due porzioni di sfera (A e B) richiamano simbolicamente quello che è l’eclisse, l’avvicinarsi e, immaginariamente, lo sfiorarsi tra due corpi celesti.
Foto 5 - Satellite che s'interpone
tra la  fonte luminosa e l'osservatore
Le parti di sfera che costituiscono la lampada sono in alluminio laccato. Le due semisfere tangenti (A e B) sono dello stesso colore ma vengono vendute in tre diversi toni (arancione, bianco, blu) mentre la se­misfera girevole interna è di colore bianco in ogni mo­dello. Il pezzo che si interpone tra la base e il piano d’appoggio è in plastica nera come anche la ghiera situata nella calotta inferiore della semisfera A; que­sto pezzo è dotato di una profonda zigrinatura sulla superficie. L’elemento predominante della lampada è l’alluminio, metallo estratto dalla terra e che va a costruire, nella scenografia della lampada di Magistretti, i pianeti che si muovono. La semisfera ruotante (C) rappresenta il satellite che si interpone tra la fonte luminosa e l’os­servatore e, come la luna, è bianca. 
Foto 6 - Luce che si
riflette tra le due
porzioni di sfera  
La luce della lampada Eclisse di Vico Magistretti de­riva da una lampadina ad incandescenza, ad essa appartiene perciò un colore caldo, riconducibile al Sole e al focolare. 
Analogamente a quella solare, nel­la lampada Eclisse si possono distinguere le seguenti fasi della luce: una fase aperta in cui la sorgente lu­minosa non è schermata; una fase intermedia e una fase chiusa, quando la lampadina è completamente schermata. i) Nella fase aperta, la luce irradia in parte diretta­mente dalla fonte luminosa, in parte riflessa dall’inter­no della semisfera che ruota. In questa fase la luce, liberata dalla fonte, descrive una parabola dai con­torni netti sulla base. È la luce diretta del giorno che dal sole oltrepassa lo spazio e giunge a scaldare la terra, solo un emisfero però, così nella lampada solo una parte della base viene illuminata, l’altra rimane al buio. ii) Nella fase intermedia, la luna interseca la sua orbita con quella del sole e della terra, la materia si confonde, si mescola, ma è tutta un’illusione di so­vrapposizioni e allineamenti. La luce del sole rimane concentrata in un punto sempre più piccolo che viene divorato lentamente dal buio, mentre un bagliore di luce comincia a circondare la luna. Sulla terra avanza inevitabilmente l’ombra, così come sulla base rimane solamente un piccolo spiraglio di luce. iii) Nella fase chiusa, la luna copre interamente la sagoma del sole. La terra, la base delle lampada, non è più illuminata, la luce non illumina più il mondo ma vuole essere guardata. È il momento dell’eclissi, la luce non nasce più da un cuore di fuoco abbaglian­te, ma da un cuore nero che, nonostante l’aspetto oscuro, continua a portare dentro di sé un’energia ir­radiante. Nella lampada infatti la luce si riflette tra le due por­zioni di sfera che contengono la lampadina, fino a sfuggire dal varco rimasto libero tra le due curvature della materia. Ma non è la stessa luce di prima, è un raggio, più debole, incerto, dolce e meravigliosoLa lampada Eclisse prevede una forte interazione con l’utente che la possiede. Progettandola Vico Magistretti pensò che la calotta interna poteva essere ruotata, modulando la luce a piacimento. Nella prima fase produttiva la lampada non era dotata della ghiera di plastica zigrinata tra le due calotte superiori. Questa aggiunta venne fatta successivamente per evitare che gli utenti si scottassero le dita maneggiando la lampada accesa che, essendo dotata di luce ad incandescenza, ed essendo fatta in alluminio, raggiungeva temperature piuttosto elevate. È interessante infatti questa interazione “scottante” con l’oggetto, che prima ti invita ad allungare la mano per modulare la luce, poi ti punisce con il calore se non hai preso le dovute precauzioni. Così l’oggetto così l’eclisse. Nella storia dell’uomo l’eclisse è un fenomeno che è sempre stato visto come un momento magico, divino, qualcosa che nella sua comparsa presagiva o seguiva qualcosa di importante. L’uomo, al verificarsi dell’eclissi non può che fermarsi a contemplare, nella paura o nello stupore, questo meraviglioso fenomeno che si verifica nel cielo. Un tempo non sapeva cosa si nascondesse in questo evento e l’aura magica che lo circondava era totale. Ma l’uomo, si sa, è curioso, desidera sapere, vuole plasmare la materia e dominarla, costantemente è soggetto alla tentazione di allungare la mano. Ma la natura, dal canto suo, è incontrollabile, troppo forte per essere dominata dall’uomo, e così questi allunga la mano e si scotta. La lampada segnala dunque il desiderio di carpire l’eclissi contro l’impossibilità di farlo. Il desiderio di mutarne la luce contro l’impossibilità di farlo a mani nude. Questo scottarsi aumenta l’interazione della lampada che deve essere impostata nei primi minuti di accensione prima che scotti o maneggiata con cura nei momenti successivi. È dunque dotata di una forte ambiguità. La lampada Eclisse è un oggetto che sottrae la luce alla sorgente, una lampada radicale che sovverte l’ordine della luce creando un momento sospeso tra la luce e l’ombra. Il progetto è stato in previsione di un utilizzo sopra il comodino e si posizione quindi di fianco al letto dell’utilizzatore. La scenografia che rappresenta è quella del conflitto tra luce e ombra e l’attimo che esprime, quello dell’eclisse. È il momento di tangenza tra i due mondi. Il giorno con la luce e la notte con il buio. La giornata dell’uomo è divisa tra giorno e notte, tra attività e riposo, da un breve momento che è quello dell’andare a letto. Questo momento sancisce il contatto tra giorno e notte così come l’eclisse sancisce il contatto tra la luce e il buio. Eclisse è perciò una lampada che accompagna l’uomo nel momento della giornata in cui si corica, un’azione spesso veloce e insignificante ma che l’oggetto sottolinea e rende misteriosa con la sua immagine di cuore nero. L’Eclisse è il punto di contatto tra l’azione nella luce, e il riposo nell’ombra. Un riposo che nasconde dentro di sé ancora una forte energia, ma un’energia che poco a poco si affievolisce".
(Giorgio Dall'Osso, "La luce nera"in: AA. VV., "Luce architetto dell'ombra", Workshop, settembre, 2011, pubblicazione online a cura dell' Università Iuav di Venezia, pp. 4 - 10. webhttp://meri.iuav.it/50/1/PubblicazioneONLINE_Lucearchitettodell'ombra.pdf )

FONTI ICONOGRAFICHE:
Vincenza Triolo
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E. M. Cestino Mascarene e Vasi della serie Paros.

Benone! Brava Sara, lo mettiamo in Bibliografia, 25 post. cp

cestino e gettacarte Mascarene
E.M. Cestino Mascarene, produzione Danese 1964

"... quell'idea ne genera un'altra, quella del cestino gettacarte e portacenere Mascarene, del 1964: un'altro tubo con due fori, stavolta in plastica nera, che ha molto successo, al punto di diventare il riferimento per moltissime produzioni concorrenti. Ne trovavi uno in ogni aeroporto e ufficio pubblico o privato. "

ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag 56, dalla riga n 1 alla riga n 6

L'interesse di Enzo Mari a operare nel mondo della produzione si concretizza nel 1958 quando incontra l'imprenditore Bruno Danese. 
Partendo dalla convinzione che "...ogni progetto deve essere utile, avere uno scopo e rendere giustizia ai materiali che usa" (da: Enzo Mari: il Design è design se comunica conoscenza - http://culturatecnica.wordpress.com/2012/11/06/enzo-mari-il-design-e-design-se-comunica-conoscenza/ ), Mari inizia una sperimentazione sui materiali , sulle relative tecniche di produzione e sulla forma. Nel 1961 realizza una decina di vasi da fiori, la serie Camicia, dove "a un tubo in alluminio, che funge da involucro al contenitore in vetro soffiato, vengono applicati dei tagli che consentivano oltre che una varietà formale, anche la possibilità di vedere quella parte della pianta spesso nascosta" (da : Simona Scopelliti, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l'utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale , pag. 164 - http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 ) . Ha subito un grande successo e diventa archetipo di molti progetti futuri. Nel 1964, viene infatti realizzato Mascarene, una evoluzione del progetto del vaso CamiciaOttenuto mediante l'applicazione su un tubo in plastica nera di due fori nella parte centrale, Mascarene, che ha una altezza di 90 cm e un diametro di 25 cmrisponde con un unico oggetto a una duplice funzione : cestino, grazie alla presenza dei due fori sulla superficie verticale, e portacenere grazie alla rientranza presente sulla sommità. Semplice nella forma, ma di grande effetto e utilità ha una diffusione e un successo immediato. "... Partecipe della grande utopia dello standard come fattore di uguaglianza... " (da : Antonio D'Avossa, Francesca Picchi , " Enzo Mari , il lavoro al centro " , Ediz. Electa , Milano , 1999 , pag. 45 )Mascarene, grazie al costo contenuto è un oggetto accessibile a tutti, anche alla gente comune, fino ad allora esclusa da un'arte ritenuta elitaria.

Da un'intervista fatta a Enzo Mari da Vittorio Zincone : 

Che caratteristiche dovrebbe avere un oggetto di design?
«Io ho sempre messo alla base della mia ricerca la bellezza della forma. E l’idea di standard».

L’idea di standard?
«Oggetti che vadano bene per tutti, anche per chi li fabbrica, e che non passeranno mai di moda».
da : Vittorio Zincone, Enzo Mari , in Sette, ediz. 15 , 2011  http://www.vittoriozincone.it/2011/04/14/enzo-mari-sette-aprile-2011/



E.M. Vasi della serie Paros, produzione Danese 1964

Vasi della serie Paros
Nei primi anni Sessanta avevo già provato a studiare come le macchine, se utilizzate correttamente, possano produrre una certa ricchezza formale. Mi ero cimentato, per esempio, con l'artigianato del marmo, che nelle botteghe dell'Apuane si scolpiva ancora in modo tradizionale, traendone piccole sculture decorative classicheggianti. Usando delle seghe circolari per tagliare in modo semplice, ma perfettamente studiato, i cilindri di materiale semilavorato, avevo messo a punto le mie Nuove proposte per la lavorazione a mano del marmo. Vasi della serie Paros (1964), prodotti ancora oggi. Tuttavia, era un'operazione in cui un progettista definiva una forma e un operaio la realizzava. "

ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag 85, dalla riga n 1 alla riga n 13.

L'utilizzo di macchine moderne, usate al posto di tecniche artigiane tradizionali,viene sperimentato da Enzo Mari non solo sui materiali industriali, come la plastica o il ferro, ma anche sui materiali tradizionali. " si tratta di un tentativo di profonda innovazione, messo in campo provocatoriamente a partire dalle essenze materiche maggiormente caratterizzate dal prevalere di una tradizione artigianale “in stile” ". (da : Davide Turrini, Opera e serie in Enzo Mari. Progetto e produzione tra arte, industria e artigianato, http://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm )  I Vasi della serie Paros, "ottenuti sfruttando in modo diretto le possibilità operative delle macchine più moderne per la lavorazione della pietra, [...]  individuando una nuova fisionomia del prodotto litico, originale e riconoscibile, fatta di forme cilindriche cave, troncate o articolate da asportazioni di materia verticali, orizzontali o diagonali." (da : Davide Turrini , op.cit ) Essi sono la dimostrazione di come attraverso l'uso di macchine si possa raggiungere un valore espressivo ritenuto da sempre patrimonio esclusivo dell'artigianato.


Domus vol.5 1960-1964
In un saggio di Pier Carlo Santini, Enzo Mari afferma : "Un contatto col marmo può esserci solo utilizzando questo materiale in maniera, torno a dire, funzionale [...] la scultura (intendendo il manufatto da collezionista) non ha più alcun senso [...] In un momento di estrema confusione culturale come il nostro, occorre essere molto attenti nei riguardi di interventi per così dire artistico-artigianali giacché questi si prestano ad ambigue mistificazioni di linguaggio. Trattandosi poi di lavorazioni costosissime, se fatte come si deve, finiscono con l’essere apprezzate solo da chi spende il denaro per esibire uno status di prestigio e di potere [...] suo impiego solo quando è funzionalmente necessario (a prezzi competitivi con materiali che diano lo stesso risultato) ". (da : Davide Turrini, Artigianato e industria del marmo secondo Enzo Mari, http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=5137 Secondo Mari il marmo deve essere apprezzato per le sue caratteristiche di aspetto, resistenza e durata e non per un ingiustificato valore di pregio connesso al lavoro manuale che porta quindi a un aumento eccessivo del costo dell'opera. 

Domus presentando la ricerca scriveva : "Una ricerca di grande interesse è quella che Mari sta compiendo, sulla lavorazione del marmo e del vetro, e che appare esemplificata negli oggetti ‘di serie’ (vasi, ciotole) da lui progettati per Danese a Milano. Nella produzione di serie è possibile ottenere forme plasticamente complesse solo con stampi ricavati da modelli eseguiti a mano. Per la lavorazione di certi materiali della tradizione classica, quali il marmo, non è possibile lo stampaggio e si è comunque persa la memoria di una corretta produzione artigianale. Queste ricerche sono nate dalla necessità di trovare nuovi metodi di progettazione che permettano la produzione in serie di oggetti di marmo plasticamente complessi, utilizzando le tecniche e gli strumenti industriali. Data la durezza del materiale, Mari ha cercato di ottenere la massima ricchezza formale limitando al minimo i passaggi dalle macchine utensili e, sempre scartando gli interventi manuali”  (da : Simona Scopelliti , op. cit. , pag 164 )

Sara Mazzeo.
____________________________DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: Ettore Sottsass: Dioniso tra design e architettura

Ettore Sottsass: Dioniso tra design e architettura

post impegnativo e notevole. va in Bibliografia.
15 post. cp
Ettore Sottsass: Dioniso tra design e architettura

“Per me, il design è un modo di discutere la vita. È un modo di discutere la società, la politica, l’erotismo, il cibo e persino il design. Infine, è un modo di costruire, una possibile utopia figurativa o di costruire una metafora della vita. Certo, per me il design non è limitato dalla necessità di dare più o meno forma a uno stupido prodotto destinato a un’industria più o meno sofisticata; per cui, se devi insegnare qualcosa sul design, devi insegnare prima di tutto qualcosa sulla vita e devi insistere anche spiegando che la tecnologia è una delle metafore della vita” (Lhttp://www.designerblog.it/post/1996/ettore-sottsass-jr)
“Se qualcosa ci salverà, sarà la bellezza”  (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, L'idiota, 1869)   (*) Ettore Sottsass sottolinea come esista una netta differenza tra design e industrial design.
Ettore Sottsass: "Mi ha detto Liana che lei è laureando in architettura, ma non ricordo bene qual è il suo argomento di tesi: l’architettura o il design?"
Diego Grandi: "Diciamo che è più pertinente al design. La mia tesi sviluppa un ipotetico rapporto tra la letteratura e il design."
ES: "Ma quando parla di design si riferisce al disegno industriale o al disegno di cose che non necessariamente ci saranno o sono previste per una produzione di massa? Perché c’è una grande differenza che sarebbe ora sottolineare. In questo momento mi sembra che ci sia un grande revival del disegno, non solo del design. (da: Diego Grandi a cura di Mario Piazza, Mia Pizzi http://www.abitare.it/it/design/ettore-sottsass-sorprese-per-cui-devo-cominciare-a-pensare/)
Sottsass in una conversazione cita Dioniso. 
Dionisio è il Mediterraneo
Era l'antica divinità greca del vino e dell'ebbrezza, definita dallo stesso Sottsass "feroce, felice, ubriaca, sessualmente attiva(Ettore Sottsass, tratto da una conversazione e tavola rotonda in: "Nel mondo degli oggetti/ In the World of Objects", Domus, n. 869, Milano, aprile 2004, pp. 22-37, citato e trascritto in: Cecilia POLIDORI, "Ettore Sottsass/qualche annotazione sul designer", Dispensa Lezione 5, 15 dicembre 2011). 
GIOVANI DI BACCO - dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1825-1905), eseguito nel 1884.
Sarcofago con tiaso dionisiaco, III sec. d.C., New York, Metropolitan Museum

Famose nell'arcaicità greca erano le dionisiache; le antiche feste in onore della divinità. Durante le dionisiache si riproduceva il furore, l'invasamento divino, ci si travestiva seguendo le antiche rappresentazioni del Tiaso (corteo di Dioniso caratterizzato da satiri e menadi) ballando e dilaniando carni di animali. Ebbrezza e la follia erano l’ispirazione data dalla divinità. Dionisio diviene quindi metafora di caos e irrazionalità.
Afferma Sottssas che un designer non può non conoscere chi sia Dioniso: quel lato che ognuno di noi possiede ed a cui si rifà quando progetta. Dionisio è fonte stessa d'ispirazione.
Dioniso è un "catalogo esistenziale" (Ettore Sottsass, op.cit.)è un compendio di "profumi, colori, vegetazione speciale e antichi fantasmi..." (E. Sottsass   op.cit.).
Quando si progetta  diviene fonte d'ispirazione.
Per Sottsass Dioniso è il Mediterraneo,
 luoghi fisici, sapori, oggetti intrisi di un "alto senso di sacralità"(E. Sottsass, op.cit.);  gli oggetti della vita quotidiana diventano in mano a ciascuno strumento di un "rito esistenziale"(E. Sottsass, op.cit.): 
Bicchiere di cristallo
"Bere acqua in un bicchiere di carta oleata sull'autostrada e berla in un bicchiere di cristallo sono gesti diversi. Nel primo caso, mentre bevi, quasi ti dimentichi di esistere..." e dimostrando così quanto un medesimo gesto e  funzione conducano a differenti gradi di consapevolezza di ciò che si sta compiendo.
Sottsass termina l'intervista affermando come solo cogliendo tali differenze si arriva alla consapevolezza non dell'industrial design ma del design
Sottsass non è solo un designer e non ama definirsi artista, è un architetto e così egli discute sul tema: 


Pianta tipo di un tempio greco
“…l'architettura deve essere misurata sul corpo umano". Per questo non gli piacciono i grattacieli che, dice "sono edilizia, non architettura. E questa è una distinzione cui tengo molto. Sono tutti uguali, in qualunque parte del mondo. Per me l'architetto è chi tiene conto dei percorsi, dell'orientamento, 
Esempi di organizzazione di templi indiani
dell'uso delle stanze. È come nei grandi templi, da quelli indiani a quelli di Paestum, dove era massima questa cura tra l'uso dell'interno e dell'esterno. Il tempio è la casa di Dio, deve comunicare intensità".  A quale dio si riferisce? 
"Esiste l'ignoto, la sacralità. L'ignoto è infinitamente più sofisticato di Dio".  L'ignoto che può diventare bellezza, perché, come Sottsass ha detto più volte, se qualcosa ci salverà sarà proprio la bellezza.    (*) "La  frase, tra l'altro molto bella, non è mia. È tratta dall'Idiota di Fëdor Dostoevskij e ai tempi del principe Mishkin la bellezza era considerata un'apparizione rara, rarissima. Quasi più divina che umana. Oggi penso piuttosto che sia una convenzione tra gruppi di persone, tribù o nazioni che hanno avuto nel tempo storie culturali  comuni. Sono loro che nei tempi lunghi hanno deciso che cosa è la bellezza".(da: Terry Marocco, Parla Sottsass: La situazione degli architetti non è buonahttp://societa.panorama.it/Parla-Sottsass-La-situazione-degli-architetti-non-e-buona)
Da quello che ho potuto vedere su internet riguardo ad alcune opere di design, Sottsass ha sempre presente quella componente architettonica che rende quasi, senza un apposito riferimento metrico, l'oggetto di design, architettura allo stato puro. Degli esempi potrebbero essere:
Schizzo per la Superbox, E. Sottsass, 1966
Zita Box, E. Sottsass, prodotto da Serafino Zani,
2004




















Andrea Menguzzato
____________________________DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: Bruno Munari, Enzo Mari e l'Arte Programmata
Bruno Munari, Enzo Mari e l'Arte Programmata

di gran lunga oltre i parametri di un semplice primo post. va in Bibliografia, ovviamente. 
25 post. cp
Enzo Mari, Timor, 1957

Bruno Munari aveva progettato delle Macchine inutili già negli anni Trenta, annunciando, senza alcuna pretesa di autoreferenzialità, con intuizioni che verranno fatte proprie, successivamente da Tinguely, una strada concettuale e tecnologica per l’arte.
MANIFESTO DEL MACCHINISMO
Il mondo, oggi, è delle macchine.
Noi viviamo in mezzo alle macchine, esse ci aiutano a fare ogni cosa, a lavorare e a svagarsi. Ma cosa sappiamo noi dei loro umori, della loro natura, dei loro difetti animali, se non attraverso cognizioni tecniche, aride e pedanti?
Le macchine si moltiplicano più rapidamente degli uomini, quasi come gli insetti più prolifici; già ci costringono ad occuparci di loro, a perdere molto tempo per le loro cure, ci hanno viziati, dobbiamo tenerle pulite, dar loro da mangiare e da riposare, visitarle continuamente, non far loro mancar nulla. Fra pochi anni saremo i loro piccoli schiavi.
Gli artisti sono i soli che possono salvare l'umanità da questo pericolo. Gli artisti devono interessarsi delle macchine, abbandonare i romantici pennelli, la polverosa tavolozza, la tela e il telaio; devono cominciare a conoscere l'anatomia meccanica, il linguaggio meccanico, capire la natura delle macchine, distrarle facendole funzionare in modo irregolare, creare opere d'arte con le stesse macchine, con i loro stessi mezzi.
Non più colori a olio ma fiamma ossidrica, reagenti chimici, cromature, ruggine, colorazioni anodiche, alterazioni termiche.
Non più tela e telaio ma metalli, materie plastiche, gomme e resine sintetiche.
Forme, colori, movimenti, rumori del mondo meccanico non più visti dal di fuori e rifatti a freddo, ma composti armonicamente.
La macchina di oggi è un mostro!
La macchina deve diventare un'opera d'arte!
Noi scopriremo l'arte delle macchine!
Bruno Munari, 1938
Jean Tinguely foto di RENE' BURRI da http://fondazionemerz.org/mostre-esposizioni/prossime-mostre/
E' il 1960 quando a Parigi, con l'intenzione di trovare "nuovi approcci percettivi al reale", Jean Tinguely sottoscrive ilManifesto del Neorealismo. Il riferimento all'opera di Bruno Munari appare chiaro... 

Jean Tinguely, Trottinette, 1960 da MUSEUM TINGUELY  http://www.tinguely.ch/de/museum_sammlung/jean_tinguely.html

 Jean Tinguely, Eureka, 1964 da MUSEUM TINGUELY http://www.tinguely.ch/de/museum_sammlung/jean_tinguely.html
 Jean Tinguely, Dissecting Machine, 1965 da SIKART http://www.sikart.ch/KuenstlerInnen.aspx?id=4022334
Bruno Munari, Negativi Positivi
Poi, sempre Munari aveva inventato i Negativi-positivi e i Polariscop, oggetti cinetici luminosi a luce polarizzata, che, nei primi anni Cinquanta probabilmente segnavano i primi esperimenti di Arte Programmata, senza nemmeno che di questa fosse stata ancora riconosciuta la nascita. 



Al 1949 risale questo commento di Gillo Dorfles: «Munari ha sempre cercato di sviluppare nelle sue opere […] l’elemento metaforico: ha cercato di fissare il divenire nel momento, di porre un argine alla durata delle forme nello spazio, dei colori sulla tela, delle linee di forza nei loro impreveduti tragitti. Da questa sua ricerca sono nate quelle creature aeree – leggere bacchette sospese a fili aerei – che un soffio mette in moto e dispone in mutevoli rapporti spaziali».
Gillo DORFLES, Presentazione del catalogo Mostra di macchine inutili e pitture di Bruno Munari, "Bruno Munari", Mostra, Milano 1949, ed. a cura della Libreria Salto
http://www.munart.org/doc/bruno-munari-g-dorfles-1949.pdf
"Enzo Mari ha significato, proprio nella sua esperienza solitaria, il massimo di collettivismo, il massimo di radicalismo, il massimo di ideologia, ma anche di rigore operativo, probabilmente di tutta l’esperienza dell’Arte Cinetica e Programmata.
Che in lui ha conosciuto un antesignano, un annunciatore e uno stimolo al tempo stesso (soprattutto con le ricerche programmate sullo spazio della metà degli anni Cinquanta), più che un partecipante; poiché, infatti, la sua ricerca, che non lasciava margini per opzioni aleatorie, che non era sollecitata dalla casualità e dalla variabilità, si andò Dimostrando più prossima alla poetica costruttivista che a quella dell’Arte Programmata."
Di cui pure abbracciava in toto le aspettative per un’arte educativa, tecnologicamente avanzata, progettualmente determinata, dunque misurabile, ma che per Mari, come già intuiva Max Bill, non poteva concedersi alcuna digressione sul piano della ricognizione formale e della virtualità percettiva: "L’arte concreta, in origine, è caratterizzata dalla struttura. La struttura dalla composizione nell’idea […]. E le leggi della struttura sono: l’allineamento; il ritmo; la progressione; la polarità; la regolarità; la logica dello svolgimento […]. Così anche Enzo Mari. Le sue strutture stanno nel punto d’incontro fra pittura e plastica. Lo spazio predomina sul colore. Gli elementi delle sue opere sono: identiche dimensioni e loro progressiva trasformazione, tridimensionalità nella costruzione, ingrandimento della superficie fino al quintuplo mediante lamelle poggiate verticalmente, in conseguenza di ciò mutazione dell’immagine del quadro a seconda del punto di vista di chi osserva e del suo movimento nello spazio. Questo si riferisce a quei rilievi di gruppi di quadrati del 1956-57. Tutti colorati tra il nero e il bianco […]" 
Max BILL, in Max Bill e Bruno Munari, Enzo Mari, Muggiani Editore, Milano 1959

Enzo Mari, Serigrafia su legno, 1958 da NEURA MAGAZINE http://www.neuramagazine.com/quarantanni-darte-corraini/
"Per rendere più lineari i risultati delle mie ricerche, ne organizzo in modo sistematico le fasi: il concetto di programma diventa prima l’asse portante, poi l’obiettivo finale del mio lavoro .Sto parlando di quel tipo d’indagini che vanno sotto il nome di Arte Programmata" Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2011, pag.41   
Enzo Mari, nove oggetti per la produzione Danese, 1960-69. Dall’alto: vasi Fitomorfici; vaso Camicia; portaghiaccio Antille; vassoio Arran; doppio vaso Pago Pago; portafrutta Adal; caraffa Trinidad; contenitore da tavola Java; ciotole Tongareva da MD Post-it http://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm
Enzo Mari, Libreria componibile Glifo, dettagli del giunto (a sinistra) e scorcio di una composizione dei moduli in plastica stampati ad iniezione, 1966-68. Produzione Gavina da MD Post-ithttp://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm
Enzo Mari, Proposta per la lavorazione a mano della porcellana, serie Samos, 1973.
per Mari l’opera d’arte era il modello o il prodotto di una ricerca che si basava su una precisa metodologia di lavoro, consistente in una costante progettazione. Si trattava, dunque, di un modo quasi scientifico di intendere l’arte, non più esito di un moto romantico dello spirito saturnino, ma esito o mezzo di una ricerca che per metodologia si avvicinava molto alla progettazione architettonica o di design.”
Simona SCOPELLITI, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l'utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale , pag. 149 -http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 

Enzo Mari, Cilindro P, multiplo in resina poliestere, 1959-63. Edizioni Danese
da MD Post-it http://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm
A Padova nel 1959, si costituisce il Gruppo N
(Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi),

a Milano nel 1959 il
 Gruppo T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Grazia Varisco).

Con questi gruppi Mari nel 1963 avrebbe firmato il manifesto dell’Arte Programmata: Arte e libertà, impegno ideologico nelle correnti artistiche contemporanee, dove si criticava l’idea romantica di arte come espressione isolata della soggettività dell’artista e si proponeva di contro un’arte oggettiva concepita per la collettività e comprensibile da tutti“La ricerca, concretata attraverso tutte le possibilità della comunicazione visiva (oggetti, film, opere grafiche ecc.) deve essere proposta attraverso i mezzi specifici (percezione visiva) usati con la massima economia (regole gestalt-psicologiche) per stabilire con lo spettatore un contatto, che sia ilmeno possibile affidato ad ambiguità interpretative individuali (cultura, umore, contingenze geografiche, gusti)”.
AAVV, Arte e libertà, impegno ideologico nelle correnti artistiche contemporanee, in "Il Verri" n.12-1963, Feltrinelli Editore, Milano 1963. 

"In quella sede, inoltre, veniva esplicitato il ruolo dell’opera d’arte che aveva il compito di attivare la coscienza critica e contribuire all’azione rivoluzionaria. Seguiva una criticadell’idea di cultura della società contemporanea, in cui questa veniva sfruttata e strumentalizzata secondo le finalità dei gruppi di potere. Per porre fine alla distorsione capitalistica dell’arte, veniva, inoltre, proposto che si conducesse sui fenomeni estetici una verifica sistematica di tipo scientifico, in cui ogni singolo approfondimento sarebbe stato svolto come un’azione di gruppo che avrebbe portato a risultati senza firma". (Simona SCOPELLITI, Op. cit. , pag. 150.)
Dal 1962 il consolidamento delle ricerche determina il proliferare di mostre e Gallerie e Musei che si occupano del movimento divengono nel periodo delle esposizioni dei veri e propri cenacoli, offrendo nello stesso tempo l’opportunità di mostrare i risultati via via raggiunti e di confrontare esperienze di metodi e lavoro.
Gli episodi più importanti dell’anno sono le mostre di Enzo Mari e di Getulio Alviani a Zagabria, Galerija Suvremene Umjetnosti, l’esposizione del GRAV a Padova presso lo Studio Enne e la mostra “Arte programmata” allestita nel Negozio Olivetti di Milano da Munari e Giorgio Soavi.

«A me pare che già ci si trovi nei pressi dell’annuncio della nuova grande avventura!
A parte le formidabili anticipazioni di Munari, comunque, l’Italia fu davvero decisiva per il sorgere e ancor più per lo svilupparsi di questo movimento.
Se Parigi fu infatti il quartier generale e il centro di irradiazione e diffusione del verbo programmatico e cinetico, l’Italia ne fu il vero laboratorio, l’officina inesausta e brulicante di operatori affamati di tecnologia, modernità, e di progettualità al confine fra utopia, sogno e scienza. Oltretutto il termine “Programmata” nacque proprio in Italia, con la felice intuizione lessicale di Umberto Eco, in occasione della ormai celeberrima mostra al Negozio Olivetti di Milano, nel 1962, cui seguirono le esposizioni sempre della Olivetti, a Venezia e a Trieste.»
Giovanni GRANZOTTO, Arte Programmata e Cinetica: origini, successo, declino e rinascita, in AAVV, “Percezione e Illusione” arte programmata e cinetica italiana, Mostra, Buenos Aires 2013, ed. Il Cigno GG, Roma 2012 pag. 15 - http://www.studioartegr.com/images/mostre/Progetto%20definitivo.pdf
http://www.youtube.com/watch?v=8gTuxD4iK6U
  Bruno Munari, Colonna a 9 sfere, 1962
Alberto Biasi, Interferenza Dinamica, 1961 
da FLAMINIO GUALDONI http://flaminiogualdoni.com/?p=10123

 Ennio Chiggio, Bispazio Instabile, 1962 da FLAMINIO GUALDONI http://flaminiogualdoni.com/?p=10123
 


 Manfredo Massironi,
Tony Costa, Visione Dinamica, 1962 da AT CASA http://atcasa.corriere.it/Biennale-Architettura-2012/In-citta/2012/08/31/olivetti-arte-programmata-munari-scarpa_11.shtml 

"Il movimento dell’arte programmata approfondisce ed accentua (...), non tanto la problematica ‘ingegneristica’ e ‘architettonica’ della creatività, quanto l’aspetto ‘etico’ complessivo dell’arte, del suo farsi, del suo organizzarsi, del suo diffondersi; in questo senso esso rappresenta un momento storico comunque nodale, poichè l’operazione creativa viene definitivamente a perdere ogni componente spiritualistica che, nonostante tutto, aveva caratterizzato quasi tutte le avanguardie storiche e perciò conquistando una precisa configurazione laica, antiromantica ed antimetafisica: all’intrecciarsi delle due forze vitali della cultura profonda delle avanguardie, lo spiritualismo e il materialismo, questo momento storico sostituirà il coniugarsi di razionalismo scientifico e di ideologia politica, compensando la perdita consequenziale del ‘poetico’, dell’universale interiore, con una diffusione universale dell’arte, con una ostentazione dimostrativa dei meccanismi più segreti della invenzione creativa, con la fissazione dei linguaggi formali su codici linguistici ossessivamente minimali e geometrici. 
Proprio per ciò il movimento dell’arte ‘programmata’ tende ineluttabilmente a confrontarsi con l’ ’arte progettata’, con l’arte cioè realmente ‘costruttiva’, progettuale ed architettonica." (Ernesto L. FRANCALANCI, Note su alcuni materiali teorici dalle avanguardie storiche agli anni ’60, "Lea Vergine, L’ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica 1953/1963", Mostra, Milano 1983, ed. Mazzotta).

Ispirandosi all'Arte Programmata, anzi acquisendone la ricerca, lo spirito e i principali esponenti, con fondamentale interesse per i fenomeni percettivi e cinetici, nasce negli States, in contrapposizione alla Pop Art, l'Optical Art, poi contratta in Op Art.
http://www.youtube.com/watch?v=vaUme6DY8Lk
Fu la rassegna 'The Responsive Eye', del 1965, organizzata per il M.O.M.A. di New York da William Seitz, a portarla alla ribalta, grazie agli artisti provenienti da ogni parte del mondo, dai francesi Vasarely e Morellet all'inglese Riley, dagli italiani del Gruppo N ai Gersterner e Mack, all'israeliano Agam agli americani Louis, Stella, Noland e Albers.


Trailer di "The Responsive Eye"

Documentario  The Responsive Eye di Brian de Palma, 1965
"Più la modernità si agita per inventare umane soluzioni o anche soltanto umane distrazioni alle domande oscure che non avranno mai risposta e più la modernità produce insopportabili solitudini."
Ettore SOTTSASS, Foto dal Finestrino, Adelphi, Milano 2012, pag.25







Antonino Sinicropi












____________________________DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: a proposito del test del 6/11/2013 su: Ettore Sottsass, "Scritto di notte", Adelphi Edizioni, Milano, 2010

a proposito del test del 6/11/2013 su: Ettore Sottsass, "Scritto di notte", Adelphi Edizioni, Milano, 2010


 ok 7 post e va in Bibliografia. cp

1)  [...] nella grande città, cioè Torino, che allora sembrava una città molto progredita, per via della FIAT e di un miliardario che si chiamava Signor Gualino. il Signor Gualino aveva fatto costruire un lungo edificio sulla collina per farne un museo di arte moderna -cioè contemporanea- ma il signor Gualino, banchiere, aveva il difetto di essere antifascista e allora, non so come, se ne è andato da Torino."
Ettore Sottsass, "Scritto di notte", Adelphi Edizioni, Milano, 2010, pag 14, righe 27-35.
"Riccardo Gualino (Biella, 1879 – Firenze, 1964) fu un finanziere e industriale attivo sui mercati internazionali, uno dei maggiori dei suoi tempi, collezionista e importante committente di architettura moderna, mecenate attivo in campo teatrale e musicale e produttore cinematografico. Proveniente da famiglia biellese di imprenditori orafi, si dedicò al commercio dei legnami rifornendosi con imprese di disboscamento in Romania e costituì, sempre in campo edilizio, l'Unione Italiana Cementi a Casale Monferrato assieme a Werner Abegg. Noleggiò e costruì flotte di navi per il trasporto del carbone dagli Stati Uniti, fondando a Torino la SNIA (Società di Navigazione Italo Americana) che poi trasformò in Snia-Viscosa creando in Italia grandi stabilimenti per la produzione di filati artificiali. Ebbe un ruolo importante anche nella Fiat, di cui fu anche. Nel 1920, quando la Fiat subisce il tentativo di acquisizione ostile da parte dei F.lli Perrone di Genova, che controllavano l'Ansaldo (siderugia) si schiera a fianco di Giovanni Agnelli condividendo con lui il pacchetto di controllo. Creò altre imprese nel campo della chimica (Rumianca), dell'industria del cioccolato (Venchi Unica) e cinematografica (Lux Film), ed anche nell'attività bancaria e finanziaria, la Banca Agricola Italiana, poi confluita nell'Istituto San Paolo di Torino. Fu anche, assieme alla moglie Cesarina un grande mecenate e amante delle arti, amico del critico d'arte Lionello Venturi, che coinvolse in molte attività, e sostenitore di molti artisti. Raccolse un'importante collezione di arte antica, con i consigli del famoso critico, che passò poi alla Galleria Sabauda di Torino. La crisi del 1929 trovò Riccardo Gualino eccessivamente esposto in speculazioni finanziarie. Avverso al fascismo, non fu aiutato dal governo a superare il crollo del suo impero finanziario ed industriale e fu inviato al confino a Lipari, nel 1931 e l'anno successivo a Cava de' Tirreni con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Colpito dall'interdizione a esercitare cariche amministrative, esercitò ugualmente il controllo della Rumianca e della Lux Film con Mario Palombi Procuratore, fondata in Francia. Futuri grandi produttori come Carlo Ponti, Dino De Laurentiis e Luigi Rovere considerarono Riccardo Gualino come il loro maestro."

2) "Mi dicevano sottovoce che nel tempo che era rimasto in città, il signor Gualino aveva fatto venire i balletti russi: i balletti di Diaghilev con Nijinskij e le scene di Bakst."
Ettore Sottsassop.cit., pag 15, righe 3-6. 

"

 Léon Bakst, pseudonimo di Lev Schmule Rosenberg (San Pietroburgo, 10 maggio 1866 – Parigi, 28 dicembre 1924), è stato un pittore,scenografo e costumista russo. Nato da una famiglia ebrea a San Pietroburgo, Lev Schmule Rosenberg studiò all'Accademia Russa di Belle Arti e all'Académie Julian di Parigi dove approfondisce la conoscenza dell'arte francese e si accosta al simbolismo; nel 1898 fonda con l'impresario teatrale Diaghilev il gruppo d'avanguardia Il mondo dell'arte. Disegnò scene per tragedie greche e nel 1908 si guadagnò una fama come creatore delle scene e dei costumi per Sergej Djagilev e i suoi Balletti russi riuscendo a coniugare la raffinatezza del simbolismo francese con la tradizione popolare russa. In questo contesto collaborò con alcuni dei maggiori compositori dell'epoca come Igor Stravinskij, Maurice Ravel, Reynaldo Hahn e Claude Debussy.
Tra le scenografie più suggestive che curò nella loro prima esecuzione sono da ricordare:Shéhérazade di Rimskij-Korsakov (1910), L'uccello di fuoco di Stravinskij (1910),Preludio al pomeriggio di un fauno di Debussy (1912),Daphnis et Chloé di Ravel (1912),Le Dieu Bleu di Hahn (1912).
Bakst ebbe una grande influenza sull'arte e sulla moda all'inizio del XX secolo, specialmente nella scenografia, di cui fu uno dei primi maestri moderni."

3) "[...] con il legno di cirmolo profumato e tenero, e infatti con quel legno tenero e quasi senza vene il papà di mia mamma qualche volta scolpiva anche statue di santi per gli altari nelle chiese di montagna vicino al cimitero."
Ettore Sottsassop.cit., pag 17, righe 2-6. 

"In passato il cirmolo era impiegato soprattutto per costruire mobili, armadi o rivestimenti per le stube (la stube o stua è una stanza completamente rivestita in legno, tipica delle zone alpine) . Si era notato, infatti, come i vestiti si conservassero meglio negli armadi realizzati con questo legno. Oggi viene utilizzato soprattutto per costruire letti e culle, data la sua capacità di garantire un buon riposo, e per il wellness. Viene usato poco come legna da ardere, poiché, se bruciato, emana un odore molto forte. Insieme al pino mugo è l'albero che cresce più ad alta quota.
Contiene vitamina C, oli essenziali, resina, trementina, pinoli. Secondo la tradizione popolare il cirmolo riesce a trasmettere un influsso positivo alla psiche umana, trasmettendo pazienza e la capacità di tenere il proprio obiettivo sempre davanti agli occhi.
Il nome scientifico è Pinus cembra L. , in Italia è presente nel Cuneese, nelle Valli torinesi, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige, in Europa in alcune aree delle Alpi svizzere e austriache.
L'albero è di dimensioni modeste o medie, arriva a circa 25 m d'altezza e diametro inferiore a 70 cm. Il fusto è irregolare."

4) "La Fama di un solo generale si fa con diecimila corpi morti. (Tsao Sung, 800 d.C.)"
Ettore Sottsassop.cit.,  pag 24, righe 15-16.

"Ts'ao Sung (c. 830 - 910 ) è stato un poeta cinese della dinastia Tang . La sua poesia «Una protesta nel sesto anno di Ch'ien Fu» (879 d.C.) è considerata « la breve poesia contro la guerra più conosciuta nella letteratura cinese » (Ray & Ray, 1984). Gli anni della dinastia Tang sono stati il periodo d'oro della poesia cinese. Quasi cinquantamila poesie scritte nel corso di questi 300 anni sono ancora esistenti.  Fino al 755 d.C. la dinastia Tang era nel periodo di massimo splendore della sua potenza politica e militare ed i suoi imperatoriintrapresero una serie di guerre di aggressione contro i paesi vicini della Cina. Molti sono stati i soldati morti alle frontiere in queste guerre ed altrettanto numerose sono le poesie scritte sulla guerra di frontiera"
Murale che commemora la vittoria di
Zhang Yichao sopra i tibetani, Tardo Tang.



国江山入战图
生民何计乐
凭君莫封侯事
一将功成万骨枯



poem (*)
The submerged country, river and hill, is a battle-ground.
How can the common people enjoy their wood-cutting and their fuel-gathering?
I charge thee, sir, not to talk of high honours;
A single general achieves fame on the rotting bones of ten thousand.

Albert Richard Davis, The Penguin Book of Chinese Verse (1962), p. 28
(* ) traduzione
Il paese sommerso, fiumi e colline, sono un campo di battaglia.
come possono le persone comuni godersi il loro legno tagliato e la loro raccolta di combustibile?
Io ti scongiuro, signore, per non parlare di alti onori;
Un solo generale raggiunge la fama sulle ossa marce di diecimila.

5) "Alla scoperta di quell'orribile tipo di addio, ho reagito cominciando una raccolta di biglietti del tram. Ho cominciato a diventare un collezionista povero. Forse speravo di fermare il tempo. Attaccavo i biglietti sulle pagine di un quaderno ma anche se avevano bei colori chiari con i biglietti del tram non ha funzionato, il tempo non sono riuscito a fermarlo. Non sono mai riuscito a fermare il tempo anche se ho sempre provato."
Ettore Sottsassop.cit., pag  28, righe 19-27.

6) " Quando siamo arrivati a Torino avevo più o meno 11 anni, ma erano stati 11 anni innocenti, leggeri, luminosi. Undici anni fantastici."
Ettore Sottsassop.cit., pag  29, righe 21-23 .                                             

7/8) "Un giorno, un bambino un pò più grande e che mi sembrava vestito male è arrivato con palline d'acciaio. Mi sono spaventato. Quella volta non è stato l'abbassamento del mio stato sociale. Ho avuto una visione asfissiante di spazi di vita che non erano a mia disposizione e che non lo sarebbero mai stati. Da dove poteva venire una pallina d'acciaio? Come si arrivava a possedere una pallina d'acciaio? Chi si doveva essere per avere una pallina di acciaio? La pallina i terracotta si comprava dal tabaccaio. Più o meno anche la pallina di vetro- mi sembrava- l'avrei potuta raggiungere. Sapevo dove trovare oggetti di vetro o simili, bicchieri, bottiglie, bottoni, lampadine, vasetti di vetro, perline, collanine. Con il vetro avevo una certa dimestichezza, come con il legno, con i sassi, la stoffa, gli spaghi, i fiammiferi. Sapevo anche dove c'erano chiodi e martello; li avevi visti dal mio nonno falegname. Ma una pallina di acciaio era fuori dalla mia portata. Grande mistero, immenso, soffocante mistero: il vasto mistero della «civiltà» delle macchine? Cominciavo a dovermi confrontare con la civiltà delle macchine?"
Ettore Sottsassop.cit., pag 35, righe 5-22.


"In Italia la rivoluzione industriale ebbe inizio tra la fine del 1800 e i primi del 1900, solo per certe regioni settentrionali, quando si riuscì a utilizzare come fonte di energia quella idroelettrica.
Le fabbriche sorsero intorno al 1880 soprattutto in Lombardia, Piemonte e Liguria, sotto l'attenta guida alla monarchia accentuando lo sviluppo di queste regioni e il divario tra Nord e Sud si fece più grave. Sorsero industrie ancora oggi famose come la Breda a Milano, che fabbricava locomotive ferroviarie e armi per l'esercito, la Falk, che fondeva il ferro e produceva acciaio, la Pirellie la Marelli che fabbricano ancora pneumatici e accessori elettrici; la Fiat a Torino che iniziò al produzione automobilistica, l'Ansaldo a Genova e altre come la Montecatini, la Edison, la Moarzotto, l'Itala e l'Alfa Romeo.
I posti di lavoro aumentarono, ma le conduzioni degli operai rimasero ancora molto dure: 14-16 ore di lavoro al giorno, salari bassi, nessuna assistenza durante le malattie, né diritto alla pensione. La disoccupazione non poteva essere assorbita dall'industria ancora in fase di avvio.
Diverse manifatture tessili, un tempo fiorenti nel Mezzogiorno, furono costrette a chiudere, sopraffatte dalla concorrenza del Nord.
L'unica alternativa offerta a molti italiani dalla monarchia dei Savoia era l'emigrazione con tutto il suo carico di miseria e di sacrifici verso le Americhe, la Germania, la Francia, ecc.
Dal 1870 al 1914 ben 16 milioni di italiani emigrarono all'estero in cerca di fortuna.
Tuttavia, dopo l'affannoso decollo industriale sotto in governo di un liberale torinese Giovanni Giolitti (età giolittiana, 1903-1913), l'Italia ebbe un rilevante sviluppo industriale.
Giolitti fece approvare al suo governo leggi che riducevano l'orario di lavoro, garantiva il riposo festivo, rendeva obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni; fece istituire anche una cassa per la pensione di invalidità e di vecchiaia. Nel 1912, infine, Giolitti estese il diritto di voto a tutti i cittadini maggiorenni di sesso maschile anche se nullatenenti ed analfabeti. Anche Giolitti comunque lasciò irrisolti i problemi del Mezzogiorno, contribuendo a ritardarne lo sviluppo.
Purtroppo il "decollo" industriale avviato così bene da Giolitti, subì un rallentamento a causa della Prima e Seconda guerra mondiale riuscendo però a svilupparsi e ad affermarsi nel mondo, solo dopo il 1950, con il famoso boom economico (esplosione). Infatti l'Italia uscì dalla seconda guerra mondiale (1945) profondamente sconvolta; bisognava ricostruire tutto: città, vie di comunicazione, fabbriche, monumenti; le campagne erano devastate, la stessa società era lacerata dalla guerra civile tra partigiani e fascisti.
Questa difficile opera di ricostruzione venne affidata al governo non più monarchico ma repubblicano di Alcide De Gasperi, che tra il 1958 e il 1963 seppe provocare il così detto "miracolo economico" prevalentemente nel triangolo industriale compreso tra Milano, Torino e Genova.
Questo "miracolo" migliorò notevolmente il livello di vita degli italiani; nelle famiglie si diffusero gli elettrodomestici, le prime motociclette, le prime automobili prodotte in serie, a prezzi più accessibili. Un milione e mezzo di italiani lasciarono le regioni meridionali per spostarsi nelle zone industriali verso cui si dirigevano anche gli abitanti dei centri più poveri del Settentrione. In poco tempo interi paesi si spopolarono, mentre crebbe rapidamente il numero degli abitanti delle grandi città del Nord."

9) " Una volta suo marito, cioè mio nonno, le aveva regalato per il compleanno un paio di babbucce di velluto ricamate, e lei le aveva volute mettere la domenica per andare a messa anche se nella notte era nevicato molto. Così si era bagnata i piedi, che erano rimasti bagnati per tutta la lunga messa anche con il coro, nella chiesa gelata. Poi la nonna era tornata a casa, si era messa a letto con la polmonite e poco dopo era morta. Si chiamava Rosina."
Ettore Sottsassop.cit., pag 44, righe 18-26.

10) " Mio padre era figlio di Giovanni Battista Sottsass, detto Giobatta [...] "
Ettore Sottsassop.cit., pag  45, riga 1.


"Sottsass Ettore senior. - Architetto (Nave San Rocco, Trento, 1892 -Torino 1954). Allo studio a Innsbruck (1909-12) e a Vienna (1912-14), affiancò un apprendistato nei cantieri. Dal 1920 operò in Trentino nella ricostruzione delle zone devastate dalla guerra, ricercando nella tradizione locale soluzioni di rigorosa semplicità; si impegnò poi in realizzazioni più complesse: il municipio di Merano(1928-32) e lo stabilimento del Lido di Bolzano (1936). A Torino, dal 1928, fu con G. Pagano e G. Levi Montalcini tra i promotori del gruppo piemontese del MIAR, collaborando al discusso progetto di sistemazione di via Roma (1931); eseguì anche il palazzo della Moda (1938, trasformato nel palazzo delle Esposizioni da R. Biscaretti di Ruffia e P. L. Nervi, 1948). Nel dopoguerra elaborò soprattutto interventi di ricostruzione, di sistemazioni urbanistiche e di progettazione nell'ambito dell'edilizia economica e popolare (Torino, la Falchera, 1951-52)."

11) "[...] e la prima metà di via Roma è stata poi progettata dall'architetto romano Piacentini, perfetto visionario del nuovo impero, perfetto poeta del potere dello Stato, perfetto poeta del gigantismo disumano."
Ettore Sottsassop.cit., pag 64, righe 14-18.

"Marcello Piacentini (Roma, 8 dicembre 1881 – Roma, 18 maggio 1960) è stato un architetto e urbanista italiano del ventennio fascista. Operò intensamente in tutta Italia, ma durante il fascismo fu soprattutto a Roma che ebbe incarichi di particolare rilevanza. Gli edifici e gli interventi urbanistici realizzati da Piacentini nella Capitale non si contano: da una parte ne consolidarono l'immagine di architetto del regime o architetto di corte del duce[1], e dall'altra connotarono significativamente l'aspetto della città. Creò un neoclassicismo semplificato che voleva essere a metà strada tra il classicismo del gruppo Novecento (Giovanni Muzio, Lancia, Gio Ponti ecc.) ed il razionalismo del Gruppo 7 e M.I.A.R. di Giuseppe Terragni, Giuseppe Pagano, Adalberto Libera ecc. In realtà Piacentini fuse entrambi i movimenti, riuscendo a creare uno stile originale, con un'impronta spiccatamente eclettica pur nella ricerca della monumentalità tipica delle tendenze estetiche del tempo. Nel 1929 Mussolini lo nominò membro dell'Accademia d'Italia, che raccoglieva i migliori intellettuali italiani. I richiami alla tradizione classica saranno, soprattutto a partire dagli anni Trenta numerosi, contribuendo alla fissazione di quello stile littorio così caro a Mussolini ed alle alte gerarchie fasciste. Fra le operazioni più devastanti emerge tristemente la demolizione della Spina di Borgo per l'apertura di Via della Conciliazione a Roma, su progetto elaborato nel 1936 (ma portato a termine nel 1950) insieme all'architetto Attilio Spaccarelli. Antecedenti, fra il 1927 e il 1936, sono gli imponenti lavori di sventramento della Contrada Nuova di Torino per realizzare il tratto di Via Roma da piazza Carlo Felice a piazza San Carlo."
12) "E' anche vero però che invece di andare a sentire vecchi professori più o meno illuminati, andavo quasi tutti i pomeriggi a trovare un pittore molto antifascista e molto anarchico di nome Spazzapan. Spazzapan sapeva tutto della pittura contemporanea. da giovane era vissuto in Germania a Monaco, ai tempi del Blaue Reiter e poi a Parigi ai tempi di Picasso e compagni e di tutti quelli che c'erano a Parigi all'ora. Per me era diventato assolutamente necessario stare ore ed ore ad ascoltare quell'uomo; [...] mi sembrava assolutamente necessario ascoltarlo parlare di se stesso come se parlasse di uno sconosciuto di passaggio; [...] Spazzapan parlava di se stesso come di uno che forse non ha speranza ma neanche disperazione, come di uno che non ha presunzioni sul «progresso» ma neanche scarica le sue insicurezze con brontolii sul presente. questa di Spazzapan è stata un'importante -non detta- nozione di base: come se mi avesse detto, senza dirlo: «Sottass, parli sempre poco di se stesso, di quello che ha fatto o non fatto, di quello che farà, di quello che ha detto, di quello che è. Parli poco di se stesso, non soltanto per non annoiare gli altri, ma per non annoiare se stesso, per non credersi mai degno di tante parole, spiegazioni, introspezioni, lamenti, errori, eroismi, lodi, piedistalli»."
Ettore Sottsassop.cit., pag 52-53, righe 18-27/33-34/12-24.

"Luigi Spazzapan (Gradisca d'Isonzo, 18 aprile 1889 – Torino, 18 febbraio 1958) è stato un pittore italiano, di lingua slovena, ritenuto uno dei più importanti esponenti italiani della pittura astratta nel primo dopoguerra. Nel 1920 trova lavoro come insegnante di Matematica alle scuole medie di Idria, incarico che lascia presto per dedicarsi completamente alla sua grande passione, la pittura. Nel 1923 partecipa a Padova ad una mostra sul futurismo movimento artistico che aveva conosciuto di recente attraverso il gruppo futurista giuliano fondato dagli artisti Giorgio Carmelich, Sofronio Pocarini e Mirko Vucetich. La sua formazione artistica si compì anche attraverso alcuni viaggi che intraprese nella sua giovinezza nei maggiori centri della cultura figurativa del tempo fra cui Vienna e Monaco che gli permisero di accrescere e sviluppare la sua formazione artistica assimilando gli stili delle secessioni, dell'Art Nouveau, del futurismo, dell'espressionismo, fino a intendere precocemente le esperienze dell'astrattismo. Nel 1928 si stabilisce a Torino dove si accosta agli ideali del gruppo dei Sei di Torino che gli permette di creare uno stile personalissimo che tra vari richiami alle correnti moderniste del tempo seppe trovare spunti di sorprendente ricchezza inventiva andando ad incidere una traccia profonda sull'esperienza informale ma senza perdere la poetica che rimane sempre presente nella sua opera. Nel 1936 fu invitato alla Biennale di Venezia dove, nel 1954, ebbe una sala personale. Distinguendosi sempre come ottimo disegnatore con delle mostre di estrema sensibilità pur nel tratto nervoso dell'opera ispirato sia a suggestioni della secessione mitteleuropea che all'espressionismo, Spazzapan si adoperò anche in progetti ad uso industriale per decorazioni murali e disegni astratti per stoffe.Presso il suo studio a Torino, il giovane pittore Renaldo Nuzzolese residente a Torino e nato a Taranto lavora sotto la direzione di Spazzapan come collaboratore. Come artista Nuzzolese cita il Maestro durante le esposizioni a Taranto e all'Exo-Arte di Bari nelle "mostre d'avanguardia" promosse dall'artista Vittorio Del Piano in Puglia. Viene anche più volte citato dall'architetto e designer Ettore Sottsass nel libro "Scritto di notte" che ricorda quando da bambino passava lunghe giornate nello studio dell'artista, ammirandone le capacità tecniche e concettuali."

13) "[...]Quando mi hanno visto entrare sono scoppiati a ridere, come se sulla scena fosse apparsa una grassona inutile che non sapeva né cantare né ballare. Io ero biondo, con i capelli quasi bianchi, avevo la frangetta e penso anche la faccia un pò tonda e la pelle molto pulita , bianca e rossa come una mela e forse gli occhi spalancati. [...] Quella risata immensa dedicata a me non la dimenticherò mai. Quando l'ho raccontato a mia madre lei mi ha bagnato i capelli e mi ha mandato a letto con la frangia tirata indietro e tenuta ferma con una stoffa. La mattina al risveglio, avevo i capelli dritti come Ollio, e non sono andato a scuola."
Ettore Sottsassop.cit., pag  64-65 righe 31-34/1-2/8-13.

Alessia Chillemi
 

André Courrèges - 5 Autori - versione finale 14 post

il post è ottimo, davvero ottimo, cmq, un esauriente quadro delle opinioni del periodo. 5 autori ossia circa 2 e 1/2 post ciascuno, totale complessivi 14 post accreditabili ad ognuno. va in Bibliografia.
cp
André Courrèges - 5 Autori *

André Courrèges 

Les choses n'ont plus jamais été les memes après l'explosion provoque par André Courrèges "
"Le cose non saranno più le stesse dopo l'esplosione causata da André Courrèges"
(da: Audrey VautherotAndré Courreges : un couturier audacieux ( trad. itAndré Courregès : una moda audace
"Fondatore dell'ominima casa di moda, André Courrèges è un designer francese, famoso per il suo stile ultra moderno. Laureato in ingegneria civile [...] inizia la sua carriera presso la maison Jeanne Lafaurie, passando poi daBalenciaga. Il suo stile inconfondibile è ispirato all'architettura ed alla tecnologia; i suoi capi sono un omaggio alla geometria, costruiti su forme quadrate e triangolari. La ricerca di materiali inediti, come la plastica e il metallo ha creato abiti unici nella storia della moda, rendendo la maison una fra le più innovative di sempre. Insieme a Mary Quant, Courrèges è considerato uno degli inventori della minigonna ".
André Courrèges,1965

André Courregès, 1964

Nel 1963 introduce i pantaloni per ogni occasione. Usati dalle donne solo per gli eventi informali ora diventano, invece, un abbigliamento giornaliero. "Il successo arriva con la collezione del 1965 che rivoluziona l'alta moda proponendo [...] i mini abiti. Courregès accorcia le lunghezze e gioca con forme, materiali e colori: il bianco, sempre presente, è in contrasto con colori accesi. Per rendere la donna giovanile, elimina le "barriere" che da sempre caratterizzano il guardaroba femminile, come corsetti e reggiseni. "
A woman’s body must be hard and free. Not soft and harnessed [...] "
" Il corpo della donna deve essere forte e libero. No debole e imbrigliato [...] " 
(daAndré Courrèges, http://onthisdayinfashion.com/?p=4984 )
Marella Agnelli veste André Courrèges
La Moon Girl Collection rivoluziona, quindi, il modo di vedere e fare la moda in Francia"Alcuni hanno definito le creazioni di Courrèges "automobilistiche", per l'idea di slancio esprint che sapevano trasmettere, e non è un caso, quindi, che le sue collezioni fossero particolarmente apprezzate da Gianni Agnelli e consorte, l'altera ed elegantissima Marella.[...] I tagli dello stilista francese, puliti ed essenziali, suscitavano le critiche di quanti vedevano in questo design ultramoderno uno svilimento della figura femminile: le linee non si adattavano alle forme sinuose del corpo, non esaltavano la grazia del fisico. Eppure i suoi capi avevano la capacità di ringiovanire la figura della donna [...] le modelle di André Courrèges incarnano il mito del futuro e della conquista dello spazio: ovunque compaiono stelle e lune stilizzate. L'uso dei materiali diviene ben presto ricercato e avanguardistico, il crochet ( processo di creazione di tessuti a partire da filati, filo, o altri filamenti di materiale utilizzando un uncinetto ) si innesta su delicate trasparenze, l'etereo si contamina di modernità, appaiono oblò su little dress [...] 
Françoise Hardy veste Courrèges in un concento del 1965
Sempre nello stesso anno, un altro evento segna la carriera di Courrèges, aggiungendo un altro successo alla collezione dello stilista e decretando, contestualmente, la fama di un astro nascente come Françoise Hardy. Alla cantante, infatti, venne affidata la co-conduzione del programma Dim, Dam, Dom [...] e il couturier disegna per lei un ensemble, tanto semplice quanto innovativo, in due varianti di colore: bianca e nera.
(da: Letizia Annamaria Dabramo, André Courrèges in Vouge encyclo, http://www.vogue.it/encyclo/stilisti/c/andre-courreges )

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              DIM DAM DOM è una trasmissione televisiva francese che ebbe un grande succeso negli anni 60. "Ogni puntata si componeva di un insieme di brevi dialoghi e immagini presentate da speaker ogni volta diverse come giovani attrici o cantanti allora in voga"


Lunettes Eskimo, André Courrèges
Coco Chanel, critica gli abiti di Courrèges, ritenendoli "più adatti alle bambinette di due o tre anni" (da: Franca SozzaniSpace Style in Vouge encyclo http://www.vogue.it/magazine/blog-del-direttore/2012/08/31-agosto#ad-image216244) che alle donne adulte.

Go-go Boots, André Courrèges
Innovativi e futuristici furono i suoi Lunettes Eskimo : "occhiali da sole con lenti enormi che presentavano una fessura, quasi come fosse una palpebra socchiusa(da: Letizia Annamaria Dabramo, op. cit.). Queste lenti, dalle forme arrotondate, richiamavano tipiche sembianze aliene, accentuando ancora di più l'aspetto ultraterreno delle modelle di Courrèges.
Ma anche gli stivali Go-go boots, richiedono una menzione speciale: " Un vero e proprio segno distintivo degli anni sessanta : generalmente di plastica bianca, arriva poco sopra alla caviglia e sul davanti è decorato da un semplice nodo che sembra realizzato con la pelle tolta all'asola ritagliata sulla sommità dello stivaletto stesso. Tutte le donne che si potevano permettere minigonne, pantaloni e collant colorati op e pop scelsero queste calzature per tutte le ore del giorno, anche per quelle da passare in discoteca. " 
(da: Gabriella Damato, Moda e design : stili e accessori del novecento , Bruno Mondadori, Mi , 2007 , pag 165, dalla riga n 8 alla riga n 15 )
Courrèges riesce a trasformare, quindi, un accessorio, fino a quel momento per lo più maschile, in un indumento femminile, riscuotendo un successo enorme.
Lo stesso Courrèges affermava: "[...]  Sulla strada dell’emancipazione e del futuro si cammina con i tacchi bassi. " (da: Franca Sozzani , op. cit.
Courrèges è stato un precursore anche nel passaggio dall’alta moda al prêt-à-porter: la sua collezione Couture Future, nel 1967, prevedeva 15 modelli in 5 taglie e con orli regolabili. Poi arrivarono la Prototype, la Maille, la collezione Courrèges Homme e il suo primo profumo, Empreinte. " (da: Franca Sozzani , op. cit.
Ma è nel 1969 che introduce l' Egyptian look, dando per la prima volta all'Egitto un look alla moda : parrucche di metallo, tagli di capelli geometrici, colori metallizati.
Negli anni Sessanta si assiste anche a una trasformazione delle sfilate. "Un esempio del nuovo clima si può ritrovare nella presentazione della collezione di Courrèges del 1964, che segna un punto di svolta. « Nel Gennaio 1964 – scrive Caroline Evans – i giornalisti che partecipavano al salon di Courrèges a Parigi rimasero attoniti nel trovare una stanza moderna con bianche pareti di vinile e scatole bianche su cui sedersi. Suonava una musica forte e quando lo show ebbe inizio, uscirono fuori ragazze giganti con stravaganti acconciature»(da: Davide Mariani, presentazione in atelier davanti a poche clienti alle passerelle contemporaneehttp://www.unconventionalproject.com/online/lang/en-us/le-sfilate-spettacolo ) [...] non più le solite passerelle allestite negli atelier per una selezionata élite, ma modernissimi filmati girati nei luoghi-simbolo di Parigi, o scenari innovativi. [...] Le mannequins di Courrèges uscivano fuori dagli armadi e assumevano posizioni plastiche, accantonando passo felino e pose ammiccanti. " (da: Letizia Annamaria Dabramo, op. cit.)
André Courrèges e le sue modelle















André Courrèges, Parigi, 1969
" Mon Style va avec une silhouette, une facon de se mouvoir dans la vie "
" Il mio stile accompagna la silhouette, un modo di muoversi attraverso la vita " 





Sara Mazzeo 
Marina Arillotta
Marco Petrolo
Michele Bagnato
Danilo Russo

Pierre Cardin - 7 Autori - versione finale 14 post

validissimo post, ottima e suggestiva scelta d'immagini, ottima presentazione del pensiero dello stilista, indagine sugli accessori, tutto insomma e di meglio non credo si possa chiedere, evidentemente un buon team di 7 autori, ossia circa 2 post ciascuno, totale complessivi 14 post accreditabili ad ognuno. va in Bibliografia. cp 
Pierre Cardin - 7 Autori *
immagine tratta da: http://brandtalk.vn/wp-content/uploads/2012/05/Pierre-Cardin-logo.jpeg
"Intanto: Cardìn o CardènCardìn, senza dubbio, visto che è nato, il 7 luglio del 1922, a San Biagio di Callalta in provincia di Treviso. È diventato Cardèn un po’ come Carla diventò Carlà. [...] e senza neanche la fatica di inventarsi uno pseudonimo: arrivando, secondo la leggenda in bicicletta, nella Parigi del 1945, per studiare architettura e cercare fortuna.
I francesi hanno fatto del ragazzo di San Biagio il primo dei couturier, dagli esordi sotto l’ala di Schiaparelli Diorall’atelier in proprio, appena ventottenne. "
(Egle SantoliniPierre Cardin, a Parigi in bicicletta e poi in trionfo. La vita interessante di un protagonista della moda, 21 Marzo 2012http://www.lastampa.it/2012/03/21/societa/moda/pierre-cardin-a-parigi-in-biciclettae-poi-in-trionfo-rP9UgDHwP5sDiYzeQyAbgI/pagina.html)
"Alla fine degli anni ‘50 inaugura la prima boutique «Ev» (al 118 di Rue du Faubourg de Saint-Honoré a Parigi) e la seconda boutique «Adam» dedicata all’abbigliamento maschile. [...] Preferisce forme e motivi geometrici spesso ignorando le forme femminili: asimmetrie, bottoni oversize e mini abiti. Progredisce nella moda unisex, qualche volta sperimentale e non sempre pratica sino ad introdurre nel 1954 il “bubble dress” ossia il vestito a bolle. E’ stato anche il primo a portare la minigonna in passerella, e fece scandalo nel ‘66 con la sua gonna sexy stretta e con spacco, con i vestiti prefabbricati a stampo, e i gioielli di plastica. Nello stesso anno ha disegnato la sua prima collezione interamente dedicata ai bambini. Due anni più tardi, [...] crea la prima licenza per l’arredamento con la creazione di servizi di piatti in porcellana."
foto 4 modello 1966 Vogue n 1603
(Erica Trincanato, Pierre Cardin, la storia di un genio, http://www.businesshoes.it/interna.asp?id=282&L3=54)
foto 3

foto 1 e 2
foto 5 modello 1966 Vogue n 1636
foto 6











immagini tratta da:
Video della collezione autunno/inverno 1966 di Pierre Cardin, sfilata sulla riva della Senna http://www.britishpathe.com/video/pierre-cardin-fashions-for-autumn-1966
“The clothes I like best are the ones I invent for a life that doesn’t yet exist: tomorrow’s world.”
"I vestiti che mi piacciono di più sono quelli che mi invento per una vita che ancora non esiste: il mondo di domani"


foto 7
Nel 1966 anche Pierre Cardin, ispirato dalla celebre collezione di Courreges del ’64 “età spaziale”, affronta questo tema: qui un tailleur per l’autunno 1966. Il foro ritagliato sull’elemento riprende quelli della giacca." (foto 7)
 (Marco Turinetto, Be different-Il valore attrattivo del brand-design nelle imprese moda, Edizioni Poli. Design, Milano 2005, p.241)


"[...]I suoi “astronauti”, copiati in tutto il mondo, decollarono, addirittura, prima, che l’uomo sbarcasse sulla Luna.“… i vestiti che preferisco li invento per una vita che ancora non esiste …” – così Cardin rivela, in una memorabile intervista a proposito della collezione proiettata nel domani che affascina, stupisce e segna l’evoluzione del gusto. Collezioni etichettate “Duemila e Oltre”, ospiti nei musei del mondo: il grande conturier parigino è, appunto, il primo artefice di modelli da “cosmonauta”, non a caso il teatro dove da sempre si svolgevano le sfilate, lo ha chiamato “Espace, antesignano di altri spazi interplanetari.“… ciò che è nuovo, colpisce la mia immaginazione …” – amava ripetere – “… le cose che si conoscono già non possono dare emozioni …”. Usò per primo tessuti sintetici battezzati «Cardinette» e quelle tuniche da cosmonauta, quei vestiti squadrati e corti che in breve affascinarono ogni donna perché si sentiva più giovane, più svelta. Cardin è sempre stato affascinato dalla tecnologia, dalla robotica, dagli effetti cinetici per modelli «satellite», gonne a cerchi danzanti chiamati «parabolique»: in bianco assoluto, in argento metallizzato. Eleganza cibernetica, fantasie avveniristiche, il vinile come tessuto. Ricami come polvere di stelle, la pulizia delle forme quasi astratte ottenuta con l’uso spregiudicato dei materiali. [...]. Pierre Cardin che ha creato abiti con fessure rotonde in vite, copricapo a casco e stivali  spaziali [...]."

(Rana Barbara, Pierre Cardin e il suo stile all’avanguardia, http://latomadibarbara.wordpress.com/2011/11/20/pierre-cardin-e-il-suo-stile-allavanguardia-9/)



foto 8
Patrick Cabasset "Velette innovative, caschi da cosmonauti, cappelli oblò, schermi futuristici: gli accessori per il capo e per la vista hanno sempre avuto un ruolo importante nelle sue creazioni. Perché?"
foto 9
















Pierre Cardin: “Gli accessori da vista sono il prolungamento dei miei accessori. Alla ricerca di una nuova estetica, le mie creazioni sono sempre state impregnate delle nozioni d’infinito, spazio e futuro. Era quindi logico che la mia immaginazione si estendesse anche agli occhiali. Mi è sempre piaciuto giocare con dei materiali innovativi. La ricerca di nuove linee e nuovi materiali per gli occhiali mi ha divertito un sacco.” 
(Patrick Cabasset, in Fashion  27 Maggio 2013, "Pierre Cardin occhiali da visionario", http://www.lofficielitalia.com/2013/05/pierre-cardin-occhiali-da-visionario/)
M.B e S.C. Quali artisti hanno contribuito alla sua formazione e l’hanno eventualmente ispirata?
P.C. "Devo dire che li conosco un po’ tutti, i Fiamminghi, i Toscani, i Veneti, Botticelli... Li ho visti per interesse culturale, ho fatto 47 volte il giro del mondo, sono stato ovunque anche per vedere i siti archeologici. Ho visto tutti questi luoghi per farmi una cultura, ma non ho mai copiato: in generale la gente visita i musei per ispirarsi, io no. Nel mio lavoro non ci sono ispirazioni; il periodo esposto qui (anni ’60 e ’70) era il risultato della mia fascinazione per i viaggi sulla luna, i satelliti, la fantascienza. Io pensavo di andare sulla luna, e sono l’unica persona al mondo che ha indossato la tuta originale indossata dal primo astronauta che  mise piede sulla luna. Mi sono fatto una formazione quando ero molto giovane frequentando artisti di tutti i campi (letteratura, pittura, scultura), una formazione internazionale. Da giovane si impara molto velocemente... "
M.B e S.C. Ha conosciuto molti artisti?
P.C."Sì. Picasso, Dalì, Braque, Mirò, che ho conosciuto molto bene, li ho incontrati tutti quando avevo vent'anni."
M.B e S.C. E’ stato influenzato dal surrealismo nelle sue creazioni?
P.C."No, devo dire che non mi sono ispirato a pittori o scultori, li ho conosciuti soltanto. La pittura, la scultura, l’incisione sono sempre state mie grandi passioni ma non le ho mai copiate."
(Mariacristina Bastante e Stefano Castelli, La moda? C'est moi, 4 marzo 2004http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=9288&IDCategoria=45 )
“Designing a dress is a similar dimension: like furniture it has to fit, and the search for lines and materials is the same in both cases”
"La progettazione di un abito è una dimensione simile: come i mobili che devono adattarsi, e la ricerca di linee e materiali è la stessa in entrambi i casi."
M.B e S.C. Lei è anche designer: cosa pensa del rapporto fra moda e design? I due campi si influenzano a vicenda?
P.C."Si tratta sempre di forma: io posso fare un abito come un armadio. I due campi non sono separabili, l’unica differenza è che una sedia non può camminare; potrei però fare un abito che assomiglia a una sedia, nudo sulla schiena con le fasce come uno schienale, con le gambe che fuoriescono come i piedi di una sedia. Diventa tutto immagine, anche se io  realizzassi un camino... Io lavoro come uno scultore: non seguo il corpo della donna, scolpisco la forma; è come se facessi un vaso: io faccio un abito e poi ci metto dentro la donna. La forma diventa moda."
M.B e S.C. Vede punti di intersezione fra la moda e l’arte? Sembra che negli ultimi anni si “copino” a vicenda: quale delle due prende più ispirazione dall’altra?
foto 10 * e 11
P.C. "C’è un grande parallelismo fra moda e arte e anche fra queste e il design. E’ il copiare che va rimproverato, in tutti questi campi; i grandi stilisti sono quelli che fanno qualcosa che non esisteva, coloro che copiano sono figure secondarie, non sono creativi: il gusto non è creatività, è solo una scelta. Perchè quello che si fa sia arte, bisogna essere il primo ad averlo fatto. Anche la tecnica è creazione, creazione allo stato puro. Penso che l’arte contemporanea e la moda si copino molto, anzi è la moda a copiare gli artisti. Non nel mio caso [...]"
Mariacristina Bastante e Stefano Castelli op. cit. )

Nella carriera di Pierre Cardin, la data da ricordare è il 1959, anno in cui  fa sfilare la prima collezione di prêt-à-porter.
"Ho chiesto a me stesso: perchè solo i ricchi possono accedere alla moda esclusiva? Perchè non possono farlo anche l'uomo o la donna della strada? Io potevo cambiare questa regola. E l'ho fatto."
(Pierre Cardin,

"Ho inventato il prêt-à-porter, con una sfilata alla Galerie Printemps, fra le reazioni scandalizzate di quelli della haute couture. L’ho fatto per due ordini di motivi. Uno, economico. Con l’alta moda non puoi fare la quantità e quindi il guadagno: solo riducendo in serie, con prezzi accessibili, hai profitto. L’altro motivo, diciamo così, era ideologico: un po’ di sinistra, un po’ socialista. Volevo mettere la moda alla portata di tutti, non solo dei ricchi. Cercavo, lo ripeto, il modo per cambiare faccia al mondo: la grande diffusione degli abiti prêt-à-porter serviva a questo."

(Ranieri Polese, L'ultimo imperatore/Ho realizzato tutto quello che volevo
senza mai avere dietro i soldi di un Arnault , Corriere della Sera, sezione Mode e ModiLunedì 18 Febbraio 2008, pag 9; http://www.corriere.it/Speciali/Spettacoli/2008/Moda_2008/articoli/9.pdf)
foto 12
* foto 10 Hiroko Matsumoto, modella nello studio giapponese di Cardin.
foto 14
foto 13
R.P."Lei ha vestito i Beatles: quando Brian Epstein decise di cambiare — 1963 — l’immagine dei quattro ragazzi di Liverpool, di togliere il cuoio nero dei loro esordi ad Amburgo, venne da lei. E nacque il look Beatles: pantaloni stretti, il tronchetto con l'elastico ai lati e soprattutto la giacca senza collo."
P.C.«Sì, i Beatles... Ero il primo ad avere una linea uomo, per questo vennero da me. Ma non ho vestito solo loro, e poi la musica non è stato il mio amore più grande."
(Ranieri Polese, op.cit. )
Antonio Belmonte
Stefania Caporale
Simona Cutrì
Anna Di Salvo
Valentina Franco
Francesca Muscherà

Emilio Pucci in 60's, dalle stampe alla Luna - 9 Autori - versione finale 10 post

presentazione a tutto campo della figura dello stilista nelle varie produzioni, 1  e post x 9 autori = totale complessivi 10 post accreditabili ad ognuno. va in Bibliografia. cp

Emilio Pucci in 60's, dalle stampe alla Luna - 9 Autori *


Il post è ancora in fase di elaborazione, troppa carne al fuoco, lo pubblico per rendere partecipi i coautori e ricevere le loro indicazioni, integrazioni e/o correzioni. Ovviamente ancora devo mettere a punto qualcosina. Spero che per quanto riguarda il testo in inglese ho impostato correttamente l'impaginazione, cioè il testo originale in piccolo e successivamente la traduzione più visibile.
Il testo è per gran parte una elaborazione dalle fonti di riferimento e dalle indicazioni dei coautori, eccezion fatta del paragrafo "Il segreto di Emilio Pucci" che è personale di Giuliana Randazzo e che mi è sembrato doveroso inserire ed evidenziare in quanto esprime molto bene l'idea dello stile Pucci.  
Ancora manca qualcosa...

Emilio of Capri, questo il nome con cui si diffuse il suo genio negli Stati Uniti, comincia la sua attività di disegnatore di moda nel 1947, per gioco, disegnando un capo invernale per un'amica. Questa venne immortalata a Zermatt (Svizzera) in uno scatto della fotografa Toni Frissell, reporter dell'Harper's Bazaar, riscuotendo un successo incredibile una volta pubblicata sulle pagine della nota rivista statunitense.
L'episodio lo incoraggiò a creare vestiti da donna, aprendo la sua prima boutique a Capri nel 1950, dove l'anno successivo prenderanno forma i pantaloni Capri.

Gina Lollobrigida indossa Pucci, collezione Vivara1968

 Campionario Stampe di Pucci da TASCHEN.COM -http://www.taschen.com/pages/en/catalogue/fashion/all/00372/facts.emilio_pucci.htm 
Pioniere della moda italiana, partecipò alla prima sfilata di moda in Italia, organizzata  da Giovanni Battista Giorgini a Villa Torrigiani a Firenze il 12 febbraio 1951, per i compratori dei più importanti department store americani.
Subito la sua produzione si contraddistinse per l'uso di colori brillanti e motivi vistosi e marcati, che tanto influenzarono la moda di quei decenni.
Gli anni 60 furono di inarrestabile ascesa per popolarità e creatività. L'avvento del nuovo decennio segnò il passaggio dallo stile Fashion del '50, ad una nuova moda, fatta di colori e tessuti stampati, liberamente ispirata alla Pop Art e alla Op Art, che scatenò la Puccimania.
"Pucci è stato uno dei primi brand dotato di un logo e un pioniere della diversificazione, firmando abbigliamento sportivo, oggetti per interni e accessori. La maison Pucci ha introdotto un tipo di tessuto leggero e stampato a colori vivaci e una nuova palette nella moda femminile, ed è sempre alla ricerca di nuove tecnologie nei tessuti e nella stampa"
Vanessa FRIEDMAN,  Pucci: Pucci fashion story, Taschen Books, Colonia 2011
Collezione di punta dei 60s è la collezione Vivara, dal nome di una delle Isole Flegree. La collezione spazia in tutti i campi, dai tessuti, appunto, alle ceramiche, per passare dai profumi. Il Vivara Parfum, prodotto per Pucci da Guerlain, diverrà una delle più longeve fragranze, disponibile ancora oggi sul mercato con diverse varianti.
Gli inconfondibili tessuti stampati, accompagnati da accessori coordinati e in alcuni casi persino da gioielli con cristalli Swaroski, tornarono in auge sul finire del secolo scorso.
Emilio Pucci, Collana Festone, Produzione Coppola & Toppo per D.Swaroski & Co., 1964
il flacone di Vivara Parfum riprende un brevetto di Pucci del 1950. 

Emilio Pucci, Vivara Parfum, ProduzioneGuerlain,  1966: Custodia od astuccio per flacone di profumo avente l’aspetto di uno dei Faraglioni di Capri,
 Emilio Pucci di Barsento, Firenze, 1 settembre 1950,
(Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Industria,
 del Commercio e dell’Artigianato, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi).


Intervista ad Emilio Pucci, Settimana Incom, 24 gennaio 1964 da Youtube http://youtu.be/cZyVk6AjzWI
"Noi siamo in fondo venditori di fantasia...
...le nostre idee non sono allo stato di idee, ma allo stato di cose fatte.
Nel realizzare una idea, la realizzo attraverso il movimento delle persone.
Il nostro lavoro è fondato sull'iniziativa di ciascuno, un lavoro in cui esprimiamo nella maniera più libera le nostre idee."
  Emilio Pucci - Estratto dall'intervista "Pensiamo alle Signore", Settimana Incom, 24 gennaio 1964.
Innovatore della figura femminile, proietta la donna verso la liberazione dagli abiti formali ed usuali: le veste in modo comodo, sfoggiando collant, scarpe piatte, minigonne, sperimentando colori ed inserti techno
L’artista ha grande attenzione per la comodità, inventa il mini abito che non aveva bisogno di essere stirato per essere indossato e brevetta il tessuto Emilioform composto dashantung di seta più helanca, egli abbina questa combinazione elastica a stampe, a forme organiche di Art Nouveau, con andamento elastico e comodissima vestibilità.
Le donne di Pucci dicono no alle costrizioni dei corsetti e delle gonne scomode e ingombranti, lasciandosi travolgere dalla leggerezza dei suoi irresistibili modelli.Morbide, sexy, le sue creazioni dalle linee fluide accompagnano dolcemente le curve naturali del corpo femminile, finalmente libero nei movimenti.
Fantasie stilizzate, geometriche e tinte incredibilmente fresche contribuirono alla creazione di uno stile del tutto rivoluzionario, radicale nei confronti della moda dell'epoca.Stile ancora oggi attualissimo, ricercato dalle donne di tutto il mondo, accattivate dal segreto di Pucciun inconfondibile gusto cromatico, accompagnato da una grande qualità di disegno, unito al forte desiderio di liberare dai rigidi schemi, la sensualità della donna "moderna", una donna che vuole essere comoda nelle più varie occasioni, dalle piste di sci,al lavoro come hostess in aereo, alle passeggiate in città, senza rinunciare alla propria femminilità.
[…] “A differenza di quelli concepiti dagli altri creativi più grafici e dai francesi (decisamente più pittorici), i tessuti concepiti da Emilio Pucci mostravano un disegno asciutto, colori puri entro contorni netti e taglienti che non indugiavano in sfumature e apparivano quasi altrettanti smalti champ levé. Gli abiti di Pucci si riconoscevano da lontano; erano fortemente “identificabili” e identificanti. Nella loro forte e ariosa modernità, tutti i prodotti Pucci avevano pur sempre il sapore della “sartoria” di grande eleganza e perciò il nome “Emilio”, che appariva con insistenza scritto tra le campiture vivamente colorate dei disegni dei suoi tessuti, colpiva un po’ tutti: oggi possiamo dire che l’idea era tanto moderna da apparire stravagante per la curiosa spregiudicatezza.” […] “ha spostato decisamente in avanti certi consolidati equilibri del comportamento comune e perciò ha contribuito piuttosto alla formazione e al consolidamento di quell’articolato, multiforme e creativo italian style entro il quale lo stesso “design italiano” si staglia.
Alessandro UBERTAZZI, Un’idea di modernità elegante, relazione alla conferenza Emilio Pucci; un fashion designer alla ricerca della qualità, conferenza tenuta presso il CdL in Disegno Industriale della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, Cadenzano, 9 novembre 2004, citato e trascritto in: Elisabetta BENELLI, Bellezza, eleganza e lusso/ Design e moda nel pensiero di Alberto Ubertazzi, ediz. Alinea, Firenze 2009, 1° ediz., pag. 53.
Dal 1961 cominciò a porre la propria firma su diverse serie di prodotti non di abbigliamento.
Il marchio tedesco Rosenthal gli commissiona il design di una linea di vasi e accessori per la casa in ceramica, con colori e disegni dall'effetto luminoso.
 
 Emilio Pucci, Coffee Pot & Demitasse Cup Set, produzione Rosenthal, 1961
  Emilio Pucci, Lichterfelde Coffee Set, produzione Rosenthal, 1961
Emilio Pucci, Studio Flower Set, produzione Rosenthal, 1961
  Emilio Pucci, Vivara Vase, produzione Rosenthal, 1965
Dal 1965 crea una propria linea di biancheria e prodotti per la casa, prodotta da Springmaid, dove appare evidente lo stile Pucci dei colori e delle stampe e quasi un anticipo di quello che sarà, qualche anno dopo, l'uso dei colori nella produzione dei tappeti.
Emilio Pucci, Olive-Multi Cotton Beach Towel, produzione Springmaid, 1965 da:STYLEBOP.com http://www.stylebop.com/de/designers/lingerie/151536-emilio-pucci-beachwear.html
Emilio Pucci, Hand Towel, produzione Springmaid, 1965 da ETSY.com http://www.etsy.com/it/listing/157970830/anni-60-anni-70-emilio-pucci-springmaid 
Nel 1965 cura l'aggiornamento dell'immagine della Braniff International Airlines con una brillante e caleidoscopica serie di colori alla moda.
-“La maggior parte delle hostess in aereosono vestite come se stessero viaggiando su autobus nel 1925.”-
Emilio Pucci, tratto da un'intervista rilasciata per  l'articolo: "Pucci abiti per le hostess Arline per l’età jet - La tonalità laggiù è selvaggia." in  LIFE, 3 dicembre 1965, pag 76.
Di conseguenza, Pucci, eseguì alcune spettacolari fasi correttive, creando una divisa adatta per l’epoca, ideando una sorta diguardaroba multistrato (*), dai colori accesi e a arricchite da un casco a bolla in plastica, oltre ad una serie di accessori da viaggio coordinati.
I nuovi abiti, così, non apparivano sfacciatamente militari ma risultavano creati per dare un aspetto più elegante all’equipaggio e soprattutto maggiore funzionalità, infatti furono progettati non solo per aiutare le hostess a realizzare molti lavori, ma anche per aiutarle ad affrontare i cambiamenti climatici drastici cui erano sottoposte. In ogni fase del volo, dal decollo, al cocktail, alla cena e all’atterraggio, emergeva semplicemente fuori un altro strato.
Emilio Pucci, collezione Gemini IV "The Air-Strip", 1965
Per non essere da meno la Braniff dipinse le fusoliere dei suoi aerei con sette colori sgargianti ripresi dai colori dei tessuti.
Tratto da :  Pucci abiti per le hostess Arline per l’età jet - La tonalità laggiù è selvaggia. LIFE, 3 dicembre 1965, pp 76-77.
(*) Il guardaroba multistrato era una sorta di set di abiti, indossati tutti insieme, partendo da una tutina e una tunica leggera per finire ad un cappotto reversibile che veniva indossato di un colore all'imbarco e un altro allo sbarco, la collezione fu per questo soprannominata The Air Strip. Il tutto era reso possibile dall'utilizzo di materiali leggeri, ma al contempo che garantivano un benessere termico.






Emilio Pucci, sciarpa della collezione Gemini IV "The Air-Strip", 1965


















Emilio Pucci,  Ports of Call, 1966



Emilio Pucci,  Classic, 1968
foto da: MODCOLORS OF BARBIE http://www.modcolors.com/braniff/bn6576.html
Giunto alla fine di quel decennio di rivoluzioni e successi, Pucci realizza quelli che verranno soprannominati "dipinti da pavimento in lana" per Dandolo y Primi in Argentina.
Tappeti, prodotti in edizione limitata, in dodici differenti patterns e cinque combinazioni di colori: toni della terracolori del gelatocolori del soletoni della notte e spettro del rosa.  



Emilio Pucci, tappeto serie Giardino, produzione Dandolo y Primi, 1969
Nel 1970 David Scott, Alfred Worden e James Irwin, l'equipaggio designato per la missione NASA Apollo 15, dopo aver passato al vaglio centinaia di proposte per la loro Mission Patch, contattano Emilio Pucci, ormai all'apice del successo negli Stati Uniti, che insieme a loro realizza lo stemma che allunerà il 30 luglio 1971.
Emilio Pucci, David Scott, Alfred Worden, James Irwin, Mission Patch Apollo 15, 1970
 da: NASA http://www.nasa.gov/sites/default/files/images/336984main_15-lg.jpg
Link di riferimento: 
Marisa CANCILLERI, L'esempio di Emilio Pucci di Barsento, magnifico Fiorentino nel Mondo, in FIORENTINI NEL MONDO, da: http://www.fiorentininelmondo.it/it/home/278-lesempio-di-emilio-pucci-di-barsento-magnifico-fiorentino-nel-mondo.html
AAVV, Giovanni Battista Giorgini, in S.A.N. del Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, da: http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?protagonisti=giorgini-giovanni-battista
AAVV, Emilio Pucci, in S.A.N. del Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, da: http://www.moda.san.beniculturali.it/wordpress/?percorsi=emilio-pucci-1914-1992
AAVV, Mission Patch Apollo 15, in TRANQUILLITY BASE, da:  https://tranquillitybase.wordpress.com/2011/07/31/mission-patch-apollo-15/
Franca SOZZANI, Elasticizzato, in VOGUE.IT, da: http://www.vogue.it/magazine/blog-del-direttore/2012/01/6-gennaio#sthash.6hPCGw6a.dpuf
AAVV, Emilio Pucci, in PORTALE MODA ITALIANA, da: http://www.portaledellamodaitaliana.it/opencms/opencms/web/rete-storica/enti/FASHION-DESIGNER-AUTORE/E/EMILIO-PUCCI-/
Kristen LAIRD, Kris likes... Emilio Pucci in the home, in KRISTEN LAIRD DESIGN, da: http://kristenlaird.com/2010/09/20/kris-likes-emilio-pucci-in-the-home/
 il tappeto di alta moda disegnato da Emilio Pucci in TAPPETI.INFO, da: http://www.tappeti.info/portale/curiosita/il-tappeto-di-alta-moda-disegnato-da-emilio-pucci

Antonino Sinicropi
Giuliana Randazzo
Andrea Luigi Stilo
Angela Santoro
Maria Rosa Marra
Maria Rita Ollio
Antonina Marguccio
Valentina Startari
Manuel Rocca
____________________________8DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: Mary Quant - 9 Autori - versione finale 5 post

Mary Quant - 9 Autori - versione finale 5 post

valutazione positiva, molto interessante la parte descrittiva, scarse le immagini di riferimento: solo vetrine, anche scarsamente rappresentative. 9 autori (!) ossia circa 1/2 post ciascuno, totale complessivi 5 post accreditabili ad ognuno; va in Bibliografia. cp 

Mary Quant - 9 Autori *

Mary Quant 
Mary Quant
“Forse un giorno tutti gli stilisti comprenderanno che il mistero è un'importante regola guida per la moda. Ma nei primi anni sessanta i tempi stavano cambiando. Non si può attribuire interamente la colpa al Vietnam o al Concilio Vaticano II, ma il cambiamento era nell'aria e una stilista inglese, giovane e coraggiosa, irruppe sulla scena. Era Mary Quant, la ragazzina che non voleva crescere e che, soprattutto, non voleva indossare vestiti da adulta.
Arriva la minigonna, arrivano le calze colorate, arrivano gli stivali alti. Prende piede la premessa che chi è giovane non deve mai, a nessun costo, sembrare vecchio. Quando a Mary Quant fu chiesto di spiegare il significato della moda e i suoi scopi, lei rispose con decisione: «Sesso»”. (da: Mary Higgins Clarkhttp://it.wikiquote.org/wiki/Mary_Quant)
Siamo all’inizio degli anni 60, agli albori della rivoluzione sessuale, nel pieno dei controversi rivolgimenti socio politici, quando i giovani decidono di reagire al conformismo dilagante e agli stantii valori borghesi mostrando il corpo” . (da: Cecilia Musmeci, Body Evolution,http://www.vogue.it/encyclo/moda/b/body-evolution)
Bazaar
Questa ribellione, si manifesta molto forte nella Swinging London, dove “le boutique diventarono il luogo privilegiato di incontro e aggregazione dei giovani” Tra le pietre miliari di quest’epoca abbiamo: “Mary Quant, che apre il suo Bazaar nel 1958. Lo shopping […] si trasformò in un fondamentale strumento di riconoscimento identitario. […] La frequentazione di specifici luoghi di vendita, divenne un tramite per formalizzare l’appartenenza a piccole ed esclusive nicchie sociali. Tuttavia è con l’apertura della seconda boutique che Mary Quant riuscì a conquistare definitivamente il mercato ed a far parlare di sé nelle riviste di moda di tutto il mondo. Il nuovo Bazaar venne aperto nel 1961 in King’s Road e sancì il definitivo successo di questa nuova forma di negozio.” 
(da :Alfonso MoroneGli anni 60: Biba, Mary Quant e la Swinging London http://www.federica.unina.it/architettura/laboratorio di-sintesi-finale-disegno-industriale/biba-mary-quant-swinging-london/)
Come simbolo del proprio Bazaar M.Q. utilizzerà una margherita. Il suo stile molto semplice e colorato contrastava nettamente con quello allora in voga e che si adattava perfettamente al nuovo stile optical che si stava affermando.
(da: Edward SteichenAltheo storie di moda, http://altheomagazine.blogspot.it/2012/01/altheo-storie-di-moda-mary-quant.html)
All’interno di questi nuovi negozi “gli stilisti più visionari del momento, inventano il "mini". […]Con abiti e gonne il cui orlo sfiora appena la proibitissima metà coscia, e con body super aderenti esaltano la silhouette e fanno nascere una nuova concezione delle forme femminili, una nuova consapevolezza fisica, appunto, una seducente "body consciousness", massimamente sintetizzata nel "monokini", il costume da bagno fatto di soli slip ideato nel 1964 dall'austro-americano Rudi Gernreich.” con cui la stessa M.Q. ha più volte lavorato.  (da: Cecilia Musmeci, op.cit.) 
Mary Quant e Rudi Gernreich
L’ispirazione le viene dalla strada, dalla Pop Art, dai primi trionfi dell’era spaziale. Le creazioni sono tutte più colorate, più eccessive, più eccitanti delle precedenti. “I bravi stilisti sanno che per essere influenti devono seguire ciò che accade nelle strade e fiutare l’aria – dice la Quant -. Io ho cominciato proprio quando nell’aria qualcosa stava per accadere. Ho creato abiti che si adattassero perfettamente al momento, fatto di dischi pop, caffè e jazz”. (da:http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:s9W_z_EqqvQJ:docenti.lett.unisi.it/files/12/12/5/2/minigonna_word.doc+&cd=11&hl=it&ct=clnk&gl=it).
Per il nome Quant si ispirò alla nota automobile inglese: la Mini. Tanto che nel 1988 la casa automobilistica Austin decise di dedicare una Mini a M.Q. La nuova Mini venne chiamata Quant e lei ne progettò gli interni e con motivi a margherita sul volante e il distintivo sul cofano anteriore. (foto da: Astilla 999, 1988 Mini 'Designer' Mary Quant, http://www.flickr.com/photos/astilla999/3353881408/in/photostream/lightbox/)
Interni mini 1988 Mary Quant
(da http://www.austinmemories.com/page8/page36/page36.html)

"La mini fu subito considerata indecente e molti erano sdegnati: per esempio, Coco Chanel citando Christian Dior disse che il ginocchio era la parte meno attraente della donna, che pertanto sarebbe stato meglio tenere nascosta" (a cura di Cristina Mora, Stefania Tozzi, Patrizia Vayola, Gabriele Zaio, L'abbigliamento e la moda negli anni del boom economico, http://www.bibliolab.it/boom_ciosf/abbigliamento.htm) e Cecil Beaton, fotografo e costumista britannico, disse: “Mai nella storia della moda un indumento così piccolo è stato portato così in alto per svelare così malamente ciò che dovrebbe restare coperto”. 
"Nonostante le critiche, negli anni '60 le sottane delle donne diventarono man mano sempre più corte, fino ad arrivare in certi casi a coprire a malapena gli slip." (Linda R. Felletti, Le idee che hanno cambiato la moda #5 La minigonna, http://laragazzaconlasciarpablu.wordpress.com/2013/04/15/le-idee-che-hanno-cambiato-la-moda-5-la-minigonna/)


M.Q. non realizza solamente la rivoluzionaria mini, di cui si contende il brevetto con Courreges, ma introduce nell’industria della moda anche miniabititailleurs pantaloni, hot-pants, tigths in PVC lucido, impermeabili dalle vivaci fantasie e dei particolari stivali dotati di zip, che ne permettevano la trasformazione in semplici scarpe. Inoltre utilizza maglioni stretti in vita con righe fortemente marcate e dai colori sgargianti.
(da: Lorna, Mary Quant, http://lornalooksback.blogspot.it/p/mary-quant.html;
Ilaria Valentinuzzi, Hot Pants, http://nonsidicepiacere.blogspot.it/2012/04/hot-pants.html ;

Valentina Fiore, Mary Quant, Mod style and Beatles..., http://fioccorossofuoco.blogspot.it/2012/04/mary-quant-mod-style-and-beatles.html).
"Altrettanto importante è stato il modo con cui M. Q. ha rivoluzionato il modo di concepire lo spazio di vendita ed in particolare le vetrine. Esse dovevano dare forma a un nuovo stile di vita rappresentato dagli abiti ed accessori e quindi dovevano essere sorprendenti e colorate in modo da attirare l’attenzione del passante. L’allestimento divenne così un elemento fondamentale. Allo stesso tempo la vetrina doveva indurre i passanti a varcare la porta d’ingresso, invogliandoli a scoprire il negozio vero e proprio. Diventano di conseguenza importanti anche i manichini, che rappresentano un ulteriore elemento di fascinazione. Quant si rese conto che quelli usati nei negozi tradizionali erano troppo lontani dalle caratteristiche fisiche reali ed attuali degli individui. Diventarono allora protagonisti dei suoi spazi espositivi manichini più simili nell’aspetto alle persone comuni, dagli zigomi alti, visi angolari e tagli di capelli più vicini alla moda del momento." (Da: Alfonso Morone, op.cit.)



"[...] Italia, la mini inizia a diffondersi nel 1966, ma rimane per diverso tempo un indumento mal visto, indossato nei locali, e si registrarono anche casi di ragazze che vengono denunciate, quando la gonna indossata in pubblico era considerata troppo corta.  Oltre [...] ai tentativi di regolamentazione per scuole e luoghi pubblici, alla mini si ebbero anche forme di reazione violenta, con aggressioni nei confronti delle ragazze che la indossavano. Ci fu anche chi denunciò la minigonna come un passo indietro nella lotta per la parità dei diritti delle donne, essendo un qualcosa che le avrebbe rese solo un oggetto di attrazione sessuale. Fortemente critica nei confronti del nuovo capo di abbigliamento fu la Santa Sede, in quanto era ritenuto un abito "degradante" nei confronti della donna. Le autorità vaticane, [...] vietarono di fatto alle donne con la gonna al di sopra del ginocchio l'accesso a diversi edifici della città. Anche nel resto del mondo la mini non venne accolta bene: in Cina nel pieno fermento della Rivoluzione Culturale la mini venne fortemente criticata e vista come "la depravazione dell'occidente capitalista",  mentre iAustralia le gonne rimasero sotto al ginocchio per buona parte degli anni sessanta. Anche in diverse nazioni dell'Africa la minigonna venne vista come un simbolo della decadenza del mondo occidentale che avrebbe corrotto i costumi locali".
(da: Origine e prima diffusione, http://it.wikipedia.org/wiki/Minigonna )


Taglio di capelli alla Quant

Pochi nella storia della moda sono riusciti nell’intento di lasciare il segno come fece Mary Quant. Realizzò la mini, un capo che rivoluzionò il mondo femminile  e il modo di pensare del mondo in relazione alla figura femminile. Ancora oggi dopo essere passati più di 50 anni la mini continua ad essere uno capi più indossati dalle donne in segno di indipendenza ed emancipazione. M.Q. oggi è a capo di una grande casa produttrice di moda e cosmetici che esporta soprattutto in estremo oriente e in Giappone. Così come iBeatles avevano condizionato fortemente il modo di vestire e di portare i capelli dagli anni 60 in poi così anche M.Q. trasformerà il look delle ragazze degli anni 60. Il taglio di capelli alla Quant fortemente spigoloso e a caschetto diventerà una icona di questo periodo.

(Vintage FashionFabulous Mary Quant Fashion Show in London, 1967)

(Fashion Tv, Mary Quant: Focus on Designers | FashionTV ESPANA, 2013) 

Andrea Menguzzato   
Teresa Rita Bertino
Francesca Maria Derenzo  
Mariagiovanna Foti
Annalisa Gitto   
Davide Brian Isaja    
Davide Luciano
Roberta Ricci

Domenico Rocco Rondinelli

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